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Simonetta Agnello Hornby, “La Mennulara” La saggezza della “criata”

rizzo

 La criata, nel linguaggio di Andrea Camilleri, ha un triplo significato: creata, cameriera o serva.

E Simonetta Agnello Hornby, memore dell'usanze nelle antiche famiglie meridionali, e siciliane in particolar modo, lo scrive, in questo straordinario libro, nel senso di serva, che arrivavano in tenera età in una famiglia di nobili origini o di famiglie benestanti. E poi ci rimanevano fino alla morte, dopo aver testimoniato legami di affetto verso i padroni e, soprattutto, verso i figli dei padroni, dopo averli cresciuti e coccolati.

"La Mennulara", è il suo primo romanzo, pubblicato da Feltrinelli nel 2002, ed è stato tradotto in tutto il mondo.

Da allora ha pubblicato diversi libri, di grande narrativa, tutti di successo. Libri "best seller" che hanno venduto in Italia più di un milione di copie.

"Simonetta Agnello Hornby ha sempre cercato di legare la professione di avvocato e la sua scrittura all'impegno per sostenere le cause dei minori, delle vittime di violenza domestica e degli emarginati.

Il 2 giugno 2016 il presidente della Repubblica le ha conferito l'onorificenza dell'Ordine della Stella d'Italia nel grado di Grande Ufficiale". Come possiamo leggere in una nota bio-bibliografica.

Il romanzo è ambientato a Roccacolomba ed inizia in un modo inusuale. Parte dal giorno della morte della protagonista il 23 settembre 1962: Maria Rosalia Inserillo, conosciuta come "La Mennulara", perché da giovane si era dedicata anche alla raccolta delle mandorle.

 E a partire dalla data del funerale, fino a mercoledì 23 ottobre 1963, non giorno per giorno, ma per giorni interessanti dove accadono i fatti salienti di questo straordinario romanzo, possiamo leggere, di personaggi, fatti e fattarelli godibilissimi. Dove troviamo ricche dimore, in stato di disfacimento, per mancanza di una corretta e necessaria azione di manutenzione. Famiglie della borghesia agraria che rimpiangono "i tempi passati" quando con lo sfruttamento dei braccianti, dei contadini, della servitù i loro nonni e bisnonni si erano arricchiti.

Il disfacimento del palazzo è la metafora del disfacimento di queste famiglie, arricchitesi tra il Settecento e i primi decenni del Novecento, ma che non hanno trovato, negli eredi, quella cultura della parsimonia e quella saggezza che li aveva reso ricchi.

Ma il romanzo è un ginepraio di tutte quelle figure caricaturali tipiche di quel ricchissimo "Pantheon" siciliano.

Ma, in effetti chi era questa donna, la Mennulara, che proprio il giorno della sua morte diventa oggetto di moltissime discussioni, viene additata come persona di grandi odii e di grandi amori. Una donna di umili origini, ma "dotata di intelligenza vivace".

Era una domestica, assunta, all'età di tredici anni, dalla famiglia di Orazio Alfallipe, sposato con donna, Adriana Mangiaracina, e i figli Lilla, Carmela a Gianni.

 La "Mennulara" aveva avuto da Orazio Alfallipe il compito del di occuparsi patrimonio della famiglia ed era "stata da sempre - e senza mai venir meno al ruolo subalterno - oculata amministratrice. Tutti ne parlano perché si favoleggia sulla ricchezza che avrebbe accumulato, forse favorita dalle relazioni con la mafia locale. Tutti ne parlano perché sanno e non sanno, perché c'è chi la odia e la maledice e chi la ricorda con gratitudine. Senza di lei Orazio Alfallipe, uomo sensuale e colto, avrebbe dissipato proprietà e rendite. Senza di lei Adriana Alfallipe, una volta morto il marito, sarebbe rimasta sola in un palazzo immenso. Senza di lei i figli di Orazio e Adriana, Lilla, Carmela e Gianni sarebbero cresciuti senza un futuro. Eppure i tre fratelli, tornati nel deserto del palazzo di famiglia, credono di avere tutti dei buoni motivi per sentirsi illusi e beffati dalla donna, apparentemente rozza e ignorante, che ora ha lasciato loro uno strano testamento. Voci, testimonianze e memorie lasciano emergere un affresco che e insieme uno straordinario ritratto di donna e un ebbro teatro mediterraneo di misteri e passioni, di deliri sensuali e colori dell'aria, di personaggi e di visioni memorabili", come possiamo leggere nella terza di copertina.

Ma il testamento non si trova. Il notaio consiglia di cercarlo in qualche cassetto del mobilio.

Qui la vicenda si complica, i colpi di scena si ripetono, uno dopo l'altro.

La Mennulara assume atteggiamenti di grade intelligenza, e molto buon senso, nell'amministrare un patrimonio che non era nemmeno suo e che avrebbe potuto anche appropriarsene.

Oltre l'intelligenza a questa donna non mancava quella dose di furbizia necessaria.

Aveva lasciato una lettera con le indicazioni del suo funerale, i giornali dove doveva apparire l'avvenuta morte ed il rituale, abbastanza complicato.

Ma che cosa potevano servire tutte queste indicazioni. Lo scopriremo, quando il dottor Palmeri si reca a Zurigo.

NE qui non mancano i colpi di scena: dagli investimenti e ai depositi in nelle banche di Zurigo, Catania e Palermo.

Il testamento si trova nella banca di Zurigo e contiene tutte le indicazioni per il suo funerale.

Se la famiglia Alfallipe potrà rientrare nel patrimonio di famiglia, lo si deve al fatto che tutte le volontà della Mennulara per il suo funerale, furono rispettate.

 

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