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Ricordando Piero Terracina

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 Era l'ultimo superstite dell'Olocausto, l'ultimo rimasto vivo dopo Auschwitz. Oggi voglio parlarvi della vita di Piero Terracina, nato a Roma da una famiglia italiana, ma di origine ebraica. Una intelligenza viva e una passione per lo studio. Mussolini è al potere, stringe l'alleanza con la Germania di Hitler. Corre l'anno 1938, l'infamia delle leggi razziali. Piero è espulso dalla scuola pubblica, come tutti i docenti e gli studenti ebrei. Roma non è più città aperta, i gerarchi ordinano arrestateli tutti. Quando c'è qualcuno da prendere, c'è sempre un Giuda disponibile, anche senza trenta denari. Il 7 aprile 1944, i fascisti lo arrestano, con i genitori, la sorella Anna, i fratelli Cesare e Leo, lo zio Amedeo, il nonno Leone David. Regina Coeli, poi su un treno: «Ci misero in 64 in un vagone. Fu un viaggio allucinante, tutti piangevano. I lamenti dei bambini si sentivano da fuori e viaggiavamo sui nostri escrementi».

Fossoli, Monaco, Birkenau-Auschwitz. Piero arriva lì, tra la nebbia, stretto forte ai suoi cari. Quando sai che la tua vita è appesa a un filo, un abbraccio è l'unica difesa, almeno ti fa sentire ancora vivo. Dura un attimo: «Ci picchiarono, ci divisero. Io andai alla ricerca dei miei fratelli, di mia madre, noi non capivamo, lei sì: mi benedì alla maniera ebraica, mi abbracciò e disse "andate". Non l'ho più rivista. Mio padre, intanto, andava verso la camera a gas con mio nonno. Si girava, mi guardava, salutava, alzava il braccio. Noi arrivammo alla "sauna", ci spogliarono, ci tagliarono anche i capelli. E ci diedero un numero di matricola. "Dove sono i miei genitori?", chiesi a un altro sventurato. E lui rispose: "Vedi quel fumo del camino? Sono già usciti da lì.". Tutti hanno diritto ad un nome, ad Auschwitz muore anche quello. Piero è ora un numero di matricola A-5506. Rimarrà per sempre impresso sul suo braccio. Auschwitz è Il regno del male, Piero assiste all'indicibile. Bambini, donne, nessuno è risparmiato. Neppure dopo la morte. Tutto usato, tutto riciclato. La pelle, i capelli dei prigionieri. Il male assoluto: "Ditemi, dov'era Dio, ad Auschwitz?". La risposta: "E l'uomo, dov'era?" disse William Clark Styron commentando quella scritta ritrovata su un muro del Lager: "Se Dio esiste dovrà chiedermi scusa".

Siamo al 27 gennaio 1945, irrompono le truppe russe, è la liberazione. Piero Terracina è uno dei pochissimi sopravvissuti. Pesa 38 chili. Lui, Liliana Segre, Primo Levi e pochi altri rientrano in Italia. Morti dentro. Per i reduci da Auschwitz, essere rimasti vivi è una condanna perpetua. Piero perde la parola. Terrorizzato che qualcuno potesse chiederli "perché tu ti sei salvato e mio figlio o mio marito no". Poi capisce che il suo dovere è parlare. Simili orrori non possono ripetersi. Incontra tutti. in scuole, associazioni, università, conferenze, seminari di formazione, istituzioni militari, trasmissioni televisive, carceri. Presidente dell'Associazione Amici di Israele, consulente per la Memoria e la Shoah della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Piero è ormai stanco ed anziano, ha compiuto il proprio dovere. Ha testimoniato l'orrore, per questo è sopravvissuto. Se dall'interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui, scrisse Primo Levi. Piero ha annunciato questa parola, anche dopo. Ha combattuto la sua buona battaglia, ora è tempo di addormentarsi. Muore a Roma quattro anni fa. Ha finalmente raggiunto i propri cari, non vedeva più i loro volti da quel giorno ad Auschwitz.

 

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