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Fonti: https://www.consiglionazionaleforense.it/
Con sentenza n. 142 del 22 aprile 2024 il Consiglio nazionale Forense ha affermato la rilevanza deontologica del comportamento tenuto dall'avvocato che registri un colloquio o una conversazione telefonica con un collega, in violazione dell'art.38 codice deontologico forense, in quanto lesivo del dovere di colleganza e correttezza a cui ciascun professionista è tenuto, ed ha evidenziato gli elementi da tenere in considerazione per la determinazione del trattamento sanzionatorio.
Analizziamo la dinamica dell'accaduto.
I Fatti del procedimento
L'avvocato incolpato ha registrato una conversazione svoltasi tra colleghi durante un incontro organizzato presso lo studio professionale al fine di tentare di comporre transattivamente una lite insorta tra l'incolpato stesso e un altro collega, con l'impegno al silenzio mediatico a fronte del pagamento di una somma di danaro. L'incolpato, però, temendo il possibile eco della notizia e di poter essere destinatario di ulteriori denunce da parte del collega, ha registrato la conversazione, senza il consenso preventivo dei partecipanti alla riunione, per documentare eventuali minacce che il collega avrebbe potuto proferire nei suo confronti.
Successivamente l'incolpato ha provveduto a trascrivere la stessa conversazione e consegnarla all'autorità giudiziaria e ad immetterne il testo su un social network dove è stato reso disponibile anche un video di oltre un'ora.
Risultata evidente la rilevanza deontologica della condotta tenuta dall'incolpato, il CDD ha irrogato la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense della durata di tre mesi per i seguenti capi di imputazione:
Il caso è stato poi sottoposto all'attenzione del Consiglio Nazionale Forense a seguito del ricorso nel quale l'incolpato ricorrente si duole dell'illegittimità del provvedimento impugnato e dell'eccessività della sanzione irrogata, che sarebbe manifestamente sproporzionata rispetto al fatto addebitatogli.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Nel caso in esame, il Consiglio ha rilevato che sebbene la condotta dell'incolpato sia stata posta in essere per il timore del possibile eco della notizia e di poter essere destinatario di ulteriori denunce da parte del collega, la registrazione della conversazione è avvenuta alla presenza di più avvocati senza la loro consapevolezza e il loro consenso, protraendosi per oltre un'ora, anche dopo che l'altro avvocato coinvolto nella vertenza si è allontanato dalla riunione. Tra l'altro, l'unica frase ritenuta minacciosa dal ricorrente è stata pronunciata verso la fine del colloquio (dopo quasi 50 minuti dell'incontro).
Considerando tali circostante è risultato evidente al Consiglio che, seppur effettuata in condizioni di prostrazione del ricorrente, la registrazione non sia avvenuta per evitare che un reato venisse portato a compimento, ma a soli fini perlustrativi e in mancanza di un pericolo concreto di commissione di un reato.
In diritto, il Consiglio ha evidenziato che, come correttamente osservato dal CDD, la conversazione avvenuta tra i colleghi ha natura ontologicamente riservata e attraverso la registrazione è stata destinata a essere conosciuta da terzi, con un danno anche all'immagine del ruolo dell'avvocato. Ne consegue una chiara violazione dell'art.38 del codice deontologico che tutela il diritto di riservatezza dei colloqui tra avvocati, uno dei principi cardine del codice deontologico, che rimarca anche i principi di lealtà e correttezza.
Proprio riguardo ai principi di lealtà e correttezza di cui all'art.9 codice deontologico forense, violati dalle condotte poste in essere ricorrente, il Consiglio ha ribadito l'importanza
Quanto al trattamento sanzionatorio, il Consiglio ha accolto la doglianza del ricorrente ritenendo che nella valutazione della gravità del fatto il CDD ha utilizzato gli stessi elementi costitutivi dell'illecito deontologico senza tener conto delle particolari condizioni in cui si è svolta la vicenda, né del fatto che il ricorrente abbia diffuso la registrazione sui canali social, non senza valorizzare lo stato di prostrazione in cui versava. A parere del Consiglio, questi elementi, sebbene non escludano la suitas dell'illecito disciplinare posto in essere dal ricorrente, meritano comunque una ponderazione.
Per questi motivi il Consiglio Nazionale Forense, in parziale accoglimento del ricorso, ha applicato al ricorrente la sanzione della censura.
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Il mio nome è Anna Sblendorio. Sono una persona curiosa e creativa e mi piace il contatto con la gente. Amo dipingere, ascoltare musica, andare a teatro, viaggiare e passare del tempo con la mia famiglia ed i miei amici. Nel 2008 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Bari "Aldo Moro" e successivamente ho conseguito l'abilitazione per l'esercizio della professione da avvocato. Nel corso degli anni ho collaborato con diversi centri di formazione occupandomi di tutoraggio in materie giuridiche e nel 2022 ho iniziato a collaborare con la testata giuridica online www.retidigiustizia.it.