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Occupazione temporanea di suolo pubblico e divieto di prosecuzione

Occupazione temporanea di suolo pubblico e divieto di prosecuzione

Riferimenti normativi: D.Lgs.n.446/97 – D.Lgs.n.507/93

Focus: L'occupazione del suolo pubblico comporta un utilizzo, a fini privati, di spazi pubblici sottratti all'uso comune ed è soggetta ad una specifica concessione da parte del Municipio competente. E' legittimo il diniego di concessione temporanea di suolo pubblico fondato su un verbale di sopralluogo della polizia locale senza previo esperimento del procedimento istruttorio dell'Amministrazione comunale?

Principi generali: Lo stato emergenziale causato dalla pandemia Covid-19 ha indotto gli esercenti attività commerciali, specialmente i ristoratori, a richiedere ai Comuni in cui esercitano le loro attività di poter occupare temporaneamente il suolo pubblico per apporvi tavoli e sedie esterni ai locali. Ciò al fine di rispettare le disposizioni normative che hanno imposto i distanziamenti tra le persone per evitare potenziali contagi e, quindi, tutelare la salute pubblica. In generale, il Comune a cui va presentata la richiesta di occupazione di suolo pubblico stabilisce, nell'ambito del proprio regolamento, i presupposti e le condizioni per accogliere la richiesta, ai sensi del D.Lgs.n.507/93, ed individuare, ai sensi del D.Lgs.n.446/97, l'ammontare della tassa/canone di occupazione. Le occupazioni di suolo pubblico possono essere temporanee o permanenti. In particolare, le occupazioni di durata non inferiore all'anno, sia che comportino l'esistenza di manufatti od impianti stabili o meno sia quelle effettuate per l'esercizio del commercio, sono ritenute come permanenti mentre tutte le altre occupazioni si intendono temporanee. L'area oggetto di concessione temporanea deve essere opportunamente identificata e devono essere adottate tutte le precauzioni volte ad eliminare pericoli per la circolazione veicolare/pedonale. L'unità organizzativa competente ad effettuare gli accertamenti e le valutazioni è in genere la polizia municipale che effettua sopralluoghi a seguito dei quali la richiesta di concessione è accolta o negata.

Il T.A.R. Veneto con la recente sentenza n.1200/2021 dell'11/10/2021 si è pronunciato su un caso di diniego di prosecuzione di occupazione di suolo pubblico da parte del Comune di Venezia. Diniego con il quale, peraltro, è stata disposta la rimozione degli effetti di un precedente provvedimento di concessione. Nel caso di specie una società titolare dell'attività di somministrazione alimenti e bevande, sita in Venezia - San Marco, nel corso dell'anno 2020 aveva chiesto il rilascio della concessione di occupazione suolo pubblico temporanea e straordinaria per un'area laterale ai locali ove disporre n.2 tavoli e n.4 sedie nel rispetto delle prescrizioni adottate sul distanziamento sociale che prevede l'eliminazione dei tavoli e delle sedie da utilizzare all'interno dei locali. Il Comune di Venezia accoglieva l'istanza nel mese di novembre 2020, sulla scorta di quanto stabilito dalla Giunta comunale con una delibera del 2020, prorogata con un'altra successiva del 2021, «fino alla conclusione dello stato di emergenza». Poiché la concessione rilasciata cessava il 31 dicembre 2020, la società presentava nel 2021 una nuova istanza di occupazione di suolo pubblico, per il periodo estivo, chiedendo di poter usufruire dello spazio esterno per istallare n.7 tavoli e n.14 sedie, in aderenza al locale, su una superficie complessiva maggiore di quella precedentemente richiesta. Il Comune ritenendo sussistenti motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ne dava comunicava alla società, ex art. 10 bis L. n. 241/90, e con successivo provvedimento del 27 luglio 2021 negava definitivamente la concessione. Tali provvedimenti venivano impugnati dalla società davanti al TAR. Nelle more del giudizio il Comune di Venezia, con un provvedimento del 2 settembre 2021, da un lato annullava d'ufficio il provvedimento di diniego impugnato e dall'altro lato dopo aver «qualificato d'ufficio» l'istanza di occupazione di suolo pubblico «quale comunicazione di occupazione di suolo pubblico», disponeva «di rimuovere, ai sensi della delibera di Giunta comunale n. 116/2021, gli effetti della sopracitata comunicazione presentata dalla Società in data 19/05/2021, ordinando il divieto immediato di prosecuzione della occupazione di suolo pubblico». Il Comune sosteneva la legittimità del suo provvedimento richiamando una nota inviata dalla Polizia Locale a seguito di un sopralluogo sul territorio avvenuto il 1°settembre 2021 afferente un altro esercizio commercialeDal sopralluogo emergeva che non era più possibile mantenere, né concedere, alcuna occupazione di suolo pubblico nell'area in parola per il venir meno dei criteri generali di sicurezza della viabilità e della tutela dei diritti di terzi. Ciò in quanto il flusso pedonale in San Marco era talmente intenso da provocare situazioni di frequente assembramento ed intasamenti veri e propri nei momenti di maggior afflusso. Il Comune prendeva atto della nota della Polizia locale e per evitare disparità di trattamento tra i richiedenti revocava tutte le concessioni rilasciate nella medesima zona, quindi, sia la concessione alla società oggetto del sopralluogo della polizia che quella della società ricorrente.

Il Comune riteneva che, nel caso di specie, l'occupazione di suolo pubblico, comunicata dalla società ricorrente in data 19/05/2021, non rispettasse i criteri generali della Delibera di Giunta Comunale n. 116/2021. Inoltre, lo stesso sosteneva che l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell'art.7 L. n.241/1990, fosse dettata da ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento tali da giustificare e da legittimare, alla luce degli accertamenti istruttori, il contenuto del provvedimento finale. La parte ricorrente, presentava, a questo punto, una nuova comunicazione di occupazione di suolo prevedendo una riduzione dell'area oggetto di occupazione. Ma il Comune dichiarava inefficace anche tale comunicazione con un provvedimento con il quale disponeva il divieto immediato di prosecuzione dell'occupazione di suolo pubblico. La società ricorrente dinanzi al T.A.R. eccepiva che la "cessazione" dell'occupazione sarebbe stata assunta dall'Ufficio comunale solo sulla base di un accertamento condotto dalla Polizia nei confronti di un altro operatore e, dunque, in totale assenza di una valutazione specifica della posizione della ricorrente. In particolare la ricorrente sosteneva che i provvedimenti comunali impugnati avrebbero dovuto essere preceduti dalla valutazione delle particolari "criticità" derivanti dall'occupazione del suolo pubblico e dalla proposizione da parte del Comune di soluzioni comportanti il minor sacrificio possibile per gli operatori commerciali. I provvedimenti sarebbero, altresì, illegittimi anche in quanto adottati senza alcuna previa comunicazione del Comune, in violazione degli artt. 7 e 21 nonies, L. n. 241/90, poiché non sarebbe vero che il provvedimento finale non poteva avere comunque un contenuto diverso e non vi sarebbe stata «l'assoluta urgenza» tale da giustificare «l'omessa comunicazione di avvio del procedimento». Il Comune di Venezia, costituitosi in giudizio, ha contestato l'ammissibilità e fondatezza del ricorso chiedendone il rigetto. Il T.A.R. ha ritenuto che gli elementi istruttori, utilizzabili dagli Uffici ai fini dell'adozione dei provvedimenti di competenza, possono anche emergere da attività di accertamento inerenti la posizione e situazione giuridica di soggetti diversi da quello il cui titolo di occupazione è in contestazione, purché si tratti di elementi comunque pertinenti alla situazione giuridica di quest'ultimo. Nel caso di specie, quindi, non è censurabile il richiamo al verbale di sopralluogo della Polizia pur riguardando specificamente l'occupazione di suolo posta in essere da altra società. Ciò in quanto il verbale contiene considerazioni e accertamenti sulla situazione di fatto che non coinvolge solo la situazione giuridica di quest'ultimo soggetto ma la situazione di tutti <<gli esercenti titolari di concessioni nella medesima zona>>, come nel caso della ricorrente. Pertanto, il ricorso è stato rigettato in quanto la Polizia ha riscontrato che in quella zona del centro storico <<il flusso pedonale è talmente intenso da provocare situazioni di frequente assembramento ed anche, nei momenti di maggior afflusso, intasamenti veri e propri>>. L'accertamento della Polizia, quindi, anche se non eseguito nei confronti della società ricorrente, ma che riveste comunque carattere generale relativamente agli esercenti commerciali della zona interessata, costituisce un elemento istruttorio rilevante, utilizzabile anche, come avvenuto nel caso di specie, per l'adozione di un provvedimento in autotutela da parte del Comune assunto per evitare il rischio di creare possibili fonti di ripresa della pandemia.

 

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