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Niente diffamazione tramite Facebook se non si riesce ad individuare l´indirizzo IP

I giudici della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5352 del 5 febbraio 2018 hanno stabilito che senza la individuazione dell´indirizzo IP, i messaggi offensivi tramite Facebook, non integrano il reato di diffamazione.
L´indirizzo IP è il codice numerico assegnato da servizio telefonico in via
esclusiva ad ogni dispositivo elettronico, all´atto dell´avvio della connessione da una data
postazione, al fine di individuare il titolare della linea
I Fatti
Una signora era stata chiamata a rispondere del reato di diffamazione p e p dall´art. 595 comma 3 c.p.. nei confronti del sindaco di una città pugliese perché, secondo il capo di imputazione, avrebbe diffuso, al suo indirizzo, messaggi offensivi tramite facebook.
Con sentenza dell´ottobre 2016 la Corte di Appello di Lecce aveva confermato la condanna pronunciata dal Tribunale di Brindisi nei confronti dell´imputata, alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, per aver offeso la reputazione del sindaco di xxxxxxxx, diffondendo attraverso il social network facebook, il messaggio descritto nella imputazione.
Svolgimento del processo
Avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello l´imputata proponeva ricorso per cassazione chiedendone l´annullamento, deducendo l´illogicità della motivazione e la violazione dei criteri legali di valutazione della prova, in contrasto con gli art. 111 Cost., 192 e 546 cod. proc. pen.
La difesa della ricorrente col ricorso sosteneva che nella motivazione della sentenza impugnata, i giudici di merito avevano provveduto ad accertare la responsabilità penale solo sulla scorta di elementi indiziari non di prove certe.
Gli indizi erano rappresentati:
- dall´accertamento della provenienza del messaggio che aveva un profilo riportante il nome e cognome dell´imputata
- dalla natura dell´argomento di discussione del forum di interesse della ricorrente e del ruolo che la stessa svolgeva in quel momento (sindacalista)
- dalla circostanza che l´imputata abbia mai denunciato alcuno per furto di identità.
Con il ricorso, l´imputata contestava il criterio di valutazione della prova utilizzato dai giudici di merito, sostenendo che gli indizi non possono essere considerati convergenti, gravi e precisi, stante la mancata identificazione dell´indirizzo IP di provenienza del post.
I giudici di merito, secondo la difesa della ricorrente, non avrebbero preso in considerazione
la denunciata omessa verifica da parte dell´accusa, dell´indirizzo IP di provenienza
del messaggio diffamatorio, così come mancherebbe la prova fornita attraverso i cd. file di log,
contenenti tempi e orari della connessione.
Motivi della decisione
I giudici della Quinta Sezione Penale hanno ritenuto il ricorso proposto dall´imputata fondato. Infatti la motivazione della sentenza impugnata fonda la pronuncia di condanna solo sugli elementi indiziari senza confrontarsi con le specifiche lagnanze mosse dalla difesa, relative all´indicata
intestazione dell´IP individuato in origine dalla parte civile, riferibile al profilo facebook registrato a nome di un altro soggetto, forum sulla cui bacheca virtuale, secondo la ricorrente, intervenivano numerosi utenti che ben avrebbero potuto utilizzare il nickname della stessa. Inoltre, sempre secondo la motivazione dei giudici della Corte di Cassazione, la motivazione della sentenza impugnata non ha tenuto conto dell´argomento proposto dalla difesa "relativo alla dedotta carenza istruttoria circa la verifica tecnica di tempi e orari della connessione, risultando peraltro in ogni grado del giudizio di merito che la XXXX ha contestato la paternità del post."
Infine la Corte ha ritenuto che la sentenza di appello, poichè non si è confrontata con tutte le argomentazioni evidenziate nei motivi di gravame, abbia scelto una motivazione insufficiente circa il prospettato dubbio relativo all´eventualità che terzi abbiano potuto utilizzare il nickname dell´imputata, mal utilizzando così il criterio legale di valutazione della prova di cui all´art. 192, comma 2, cod. proc. pen,.
Per tali motivi i giudici della Quinta Sezione hanno annullato della sentenza impugnata, con rinvio
ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, per nuovo esame.
Si allega sentenza
Avv. Pietro Gurrieri
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