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Prendersi cura, quel mettersi nei panni dell'altro

Prendersi cura, quel mettersi nei panni dell'altro

Prendersi cura di qualcuno (caring) non significa "guarirlo". Ognuno di noi, senza essere un professionista della salute fisica o mentale, può prendersi cura di qualcun'altro facilitando e sostenendo il suo benessere e sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale. Prendersi cura significa relazionarsi, coinvolgendo i sentimenti, partecipando emotivamente alle difficoltà e sofferenze dell'altro (empatia). La "sofferenza empatica" costituisce la motivazione primaria che spinge all'aiuto, significa sentire e vedere come l'altro sente e vede, secondo le sue difficoltà, non le proprie. L'empatia è stata definita infatti una "strategia evolutiva", che ha permesso la sopravvivenza dei gruppi: solo riuscendosi a mettere nei "panni dell'altro" si può comprenderne la sofferenza e offrire concretamente il proprio aiuto. Nell'individuo adulto la "sofferenza empatica" nasce spontaneamente dall'interno, come espressione di principi interiorizzati di cura, giustizia e affermazione del proprio sé; non può essere imposta da regole o rinforzi esterni.

 La principale e prima figura di cura nella vita di ogni individuo è la madre o chi per lei, e dall'attaccamento che svilupperà con tale figura dipenderanno molto spesso le relazioni future, perché "l'imprinting" iniziale dello stile d'attaccamento è quello che rimane come base. Ogni base "non sicura" o sana può comunque, sia durante l'infanzia stessa che durante l'età adulta, essere modificata e "migliorata", al fine di potersi relazionare adeguatamente con il mondo esterno. Il bisogno di attaccamento è un bisogno primario, indipendente dal bisogno di nutrizione, è il bisogno essenziale per il proprio sviluppo, di creare un legame e di essere riconosciuti parte integrante di una relazione. Sono stati individuati diversi tipi di attaccamento dagli psicologi negli anni e tale tipologie non vengono specificate in base a differenze di tipo quantitativo ma in base a differenze qualitative: non è quindi il grado di disponibilità del caregiver (figura d'attaccamento/madre) né la ricerca di vicinanza da parte del bambino a indicare un attaccamento come sicuro o insicuro, ma la modalità di comportamento (qualità della relazione) fra bambino e caregiver. 

 La ricercatrice Mary Ainsworth è colei che sperimentò un metodo di osservazione, Strange Situation, attraverso il quale riuscì ad identificare quattro tipologie di attaccamento (modalità relazionale) fra una madre o caregiver e il bambino (Attaccamento Sicuro, Attaccamento Insicuro-Evitante, Attaccamento Insicuro-Ambivalente, Attaccamento Disorganizzato). Attraverso una serie di sperimentazioni con la Strange Situation, Mary Ainsworth ha potuto notare come il comportamento di attaccamento, osservato tra la madre e il suo bambino, oltre a fornire protezione al piccolo, serviva a costituire una "base sicura" a cui il bambino potesse ritornare nelle fasi di esplorazione dell'ambiente circostante, necessaria per favorire la sua autonomia e il senso di fiducia. La "base sicura" sviluppata da piccoli è quella con cui ci muoveremo nel mondo relazionale da adulti, quella seconda la quale funzioneremo per tutta la vita. E' quella base per cui richiederemo o meno che qualcuno si prenda ancora, di nuovo o per la prima volta cura di noi.

Quello che accade nella stanza di terapia è una presa in cura, una base sicura, un porto salvo da cui poter ripartire quando da soli non si riesce:

"Sono in grado di prendermi cura di questa famiglia o di questa coppia rimanendo allo stesso tempo distinto e lasciando a ciascuno la responsabilità della propria vita." M. Bowen

La mia e-mail per i lettori: Denebola Ammatuna
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Psicologa, Psicoterapeuta


 

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