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“Michele Pantaleone, personaggio scomodo” Una vita contro la mafia e la malagiustizia

rizzo

 E' il titolo di una bellissimo libro del 1994 di Mario Grasso (1).Poche altre opere, su altri personaggi pubblici, mettono in evidenza la personalità di un uomo impegnato, potremmo dire, fin dalla nascita nel combattere sia la mafia, sia la malagiustizia, sia, soprattutto, i "politici-boss", come amava definire gli uomini che hanno scritto le pagine più nere della connivenza tra politica e mafia.

"Mafia e politica" (1962), "Mafia e droga" (1966), "Antimafia occasione mancata" (1969) sono tre, dei tantissimi titoli di Michele Pantaleone (1911 – 2002) pubblicati da Einaudi e che gli hanno procurato processi a non finire, intentati da politici, democristiani soprattutto, ma che l'hanno visto sempre uscirne dignitosamente. Tranne dall'ultima condanna, arrivata postuma, per un volantino di 20 anni prima in occasione di una campagna elettorale per le elezioni amministrative a Villalba, suo paese di origine.

Pantaleone ha scritto 14 libri e cinque mila articoli su giornali e riviste. Un lavoro puntuale per denunciare e svelare i segreti più reconditi degli ambienti mafiosi, i meccanismi che avevano permesso a Cosa nostra, di volta in volta, cambiamenti camaleontici per gestire quel fiume in piena di denaro sporco che proveniva dalle mille attività illecite della mafia, grazie alle coperture politiche e finanziarie che riusciva sempre a tessere.

A Villalba, in provincia di Caltanissetta, dove Pantaleone era nato, avrebbe voluto morire, nel feudo materno il "Carrubo", tra i 312 alberi piantati da lui stesso, o ciò che restava di quel lascito. In più di un'occasione mi aveva confidato che nella sua vita, per perseguire il suo disegno di lotta contro la mafia e nelle lotte dei contadini per l'occupazione delle terre, aveva dovuto vendere grandissima parte della sua proprietà per far fronte alle ricerche e ai processi, che di volta in volta gli promuovevano i politici chiamati in causa.

Invece, Pantaleone, è morto a Palermo, nella sua abitazione in via Galilei, amorevolmente assistito dalla fedele Angelina, il 12 febbraio 2002, all'età di 91 anni. La stessa abitazione dove siamo andati a trovarlo, un Natale di molti anni fa, con Marco Tognola, giornalista e pubblicista svizzero.

Avevamo conosciuto Michele Pantaleone a Lugano, sul finire del 1984. Era stato invitato dall'allora direttore della Biblioteca cantonale, prof. Adriano Soldini, per una pubblica conferenza: "Il Canton Ticino punto chiave del traffico finanziario della mafia". E con lo stesso titolo mi rilasciava un'intervista per "Libera Stampa" (2), il quotidiano socialista della Svizzera Italiana.

In quell'occasione Pantaleone aveva poi proseguito il suo viaggio nei vari Cantoni Svizzeri per una serie di conferenze ospite della Federazione del Partito socialista italiano in Svizzera.

Michele Pantaleone era un socialista di "stampo antico", anche in quell'epoca in cui i socialisti avevano dimenticato le origini. Infatti nel 1979 aveva scritto una lettera a Bettino Craxi, allora segretario del Partito socialista italiano denunciando il cattivo vezzo dei politici siciliani di vivere da "nababbi". Un decennio dopo la catastrofe arriva con la "leggendaria" operazione della magistratura "mani pulite"!

Era un'epoca, quella, in cui, stando al frutto di alcune sue ricerche, la mafia stava investendo in campo immobiliare in alcuni comuni ticinesi. E ricordo, quando ero andato a prenderlo all'aeroporto di Milano, la prima cosa che mi chiese: "Potrei avere delle notizie sulla compra-vendita di immobili nel comune di Coldrerio? Guarda che per questa ricerca non posso disporre che di un milione e 200 mila lire". Gli feci presente che nessuno sarebbe stato in grado in Canton Ticino di verificare simili notizie se non davanti a precise e documentate prove di illeciti e facendo intervenire la magistratura. E, nel caso fosse stato possibile, lo avremmo fatto senza alcun compenso.

Nel giugno del 1984 aveva pubblicato "A cavallo della tigre" (3) dove ripercorre tutte le vicende processuali che l'hanno visto protagonista. A rileggerlo oggi, cogliamo il monito che Pantaleone indirizza alla parte onesta delle istituzioni, mettendo in evidenza il suo acume che fa presagire ciò che sarebbe stata la futura stagione di un Paese alla deriva ed in mano ad uomini come Berlusconi e Bossi: "Desidero inoltre evidenziare come le pubbliche denunzie di fatti e misfatti manovrati da politici-boss si trasformano quasi sempre in legacci che bloccano le mani 'a malintenzionati decisi ad usare la lupara da dietro un muro per mettere a tacere una bocca scomoda' finendo cioè col fermare la mano omicida proprio a causa del politico-boss, il quale teme di rimanere coinvolto; e vorrei che anche uomini politici, funzionari dello Stato e magistrati riflettessero su come anch'essi debbano difendersi non solo dal finire sbranati dalla 'tigre', ma anche dal trovarsi, sia pure inconsapevolmente, tra le pulci che operano per dissanguare la vittima".

Ma dove nasce questa missione di Pantaleone?

Intanto Villalba, il suo paese di origine era anche il paese di don Calogero Vizzini, riverito ed assoluto capomafia della Sicilia degli Anni quaranta e cinquanta e protettore dei feudatari che avrebbero dovuto cedere ai contadini le terre incolte grazie ai decreti del ministro dell'agricoltura, Fausto Gullo, del governo di unità antifascista del 1944. 

Il 16 settembre di quell'anno proprio a Villalba, Pantaleone ed il deputato comunista Girolamo Li Causi decidono di tenere un pubblico comizio sul tema "Mafia, separatismo e feudatari" senza tenere conto delle "raccomandazioni" di don Calò Vizzini che aveva avvertito: "A Villalba c'è tranquillità, come se fosse un convento di monache. Se poi tenete tanto al comizio, dite agli oratori che sappiano almeno cosa dire". Quello che successe dopo, visto che gli oratori avevano disatteso i consigli di don Calò, lo descrive Carlo Levi nella prefazione al libro di Pantaleone "Mafia e politica" (4): Levi, ospite fisso di Pantaleone al "Carrubo", dopo aver descritto l'inizio del comizio e l'intervento del prof. Cardamone scrive: "Lo seguì Michele Pantaleone da Villalba. La sua presenza in faccia al capo della mafia era già di per sé, in qualche modo, un insulto. Michele Pantaleone polemizzò coi separatisti: pochi giorni prima, il 2 settembre, era venuto a Villalba il capo dei separatisti, Finocchiaro Aprile, che, dopo aver distribuito ai giovani i distintivi con la quarantanovesima stella americana, aveva in questa stessa piazza tenuto un discorso. Pantaleone, che aveva scritto un articolo e una lettera aperta a Salvatore Aldisio (un democristiano di Gela, più volte ministro, nominato Commissario per la Sicilia dalle Forze Alleate .n.d.r.) su questo argomento, entrò dunque nel vivo della questione, richiamandosi all'azione delle masse contadine, mentre presentava il principale oratore: Girolamo Li Causi. Li Causi è l'uomo più popolare della Sicilia. Il suo coraggio, la sua parola tocca i cuori, poiché egli parla con la lingua del popolo, con conoscenza ed amore. Così, alla sua voce, i contadini nascosti ed atterriti sentirono un impulso che li spinse ad entrare nella piazza proibita, e Li Causi cominciò a parlare, a quella piccola folla imprevedibile, del feudo Micciché, della terra e della mafia. Dalla chiesa madre lo scampanìo del prete, fratello di don Calò, cercava di coprire quella voce. Ma i contadini lo ascoltavano e lo capivano. 'Giustu è, dicevano, binidittu lu latti chi ci detti sa matri. Lu vangelu dici'. Così essi rompevano il senso di una servitù antica, disubbidivano, più che ad un ordine 'all'ordine', alla legge del potere, distruggevano l'autorità, disprezzavano e offendevano il prestigio. Fu allora che don Calò, in mezzo alla piazza, gridò: 'Non è vero'! Al suo grido, come ad un segnale, i mafiosi cominciarono a sparare. Quattordici i feriti che caddero, mentre Li Causi gridava: 'Fermi sciagurati, concedo il contraddittorio'. Anche Li Causi fu ferito ad un ginocchio. Michele Pantaleone se lo caricò sulle spalle, mentre le pallottole (quindici fori furono trovati sul muro dietro le loro spalle) levavano polvere di calcinacci dall'intonaco, e lo portò per quei pochi passi, fin dietro il muro della casa del Banco di Sicilia. Pantaleone allora all'angolo, alzò la sua pistola e sparò in aria cinque colpi".

Da un uomo di questo stampo, capace di sfidare i mammasantissima della mafia, le sfide successive ai politici corrotti, ai magistrati "Ammazza sentenze" fino la fine dei suoi giorni, dovevano sembrare bazzecole.

(1)Mario Grasso, "Michele Pantaleone personaggio scomodo. Una vita contro la mafia e la malagiustizia", Prova d'Autore, Catania, 1994;

(2)Rosario Antonio Rizzo, Ticino, punto chiave del traffico finanziario della mafia, su "Libera Stampa", del 14.12.1984;

(3)Michele Pantaleone, "A cavallo della tigre", libreria Dario Flaccovio editrice, Palermo, 1984;

(4)Michele Pantaleone, Mafia e politica, Einaudi Editore, Torino, 1962, con prefazione di Carlo Levi. 

 

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