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Lo Statuto dei Lavoratori compie Cinquant’anni

rizzo

Negli ultimi mesi, nel clima che dura ancora oggi e non sappiamo con certezza quando finirà, e come finirà, ci siamo accorti che la presunta infallibilità dell'uomo ha subito qualche colpo. E non di poco conto.

Siamo passati dalle critiche più feroci, o dai complimenti più meliosi, al riconoscimento, nel bene come nel male, di un governo che intervenga e si faccia carico di tutti i bisogni della Comunità, quando ci si viene a trovare in situazioni disperate.

Le buone, e pie, intenzioni dei più reclamano la necessità che, al termine di questa pandemia, bisogna uscirne migliori, in quanto "tutto non sarà più come prima"!

E, bisogna riconoscere che, durante le varie fasi, il cittadino è stato sottoposto alla rinuncia di determinati diritti, riconosciuti dalla nostra Costituzione, perché sono stati sospesi.

Non entriamo nel merito, perché finiremmo in un mare di polemiche, tra chi grida allo scandalo e chi ribatte che il comportamento del governo sia costituzionalmente corretto.

Non è questo il punto.

Ma parlando di Costituzione, di comportamenti del governo, di sanzioni e di influenze di paesi terzi, come non rifarci al Cinquantesimo anniversario dello Statuto dei Lavoratori?

Come si è arrivati a questo straordinario strumento giuridico dei diritti dei lavoratori? In quale clima è stato ipotizzato, portato avanti e alla fine, approvato? Quali sono stati i costi in vite umane, in compromessi, politici e sociali? Per non parlare dei diktat imposti, ed accettati, da potenze straniere.

Noi oggi viviamo una situazione "nuova", mai vissuta prima. Una situazione paragonabile, più o meno, a quella del Secondo dopo guerra.

Dopo i governi con i rappresentanti dei partiti antifascisti, 1945/1947, si arriva alle elezioni del 18 aprile 1948. La Democrazia Cristiana (DC) stravince le elezioni e potrebbe costituire un governo monocolore, in quanto aveva raggiunto oltre il 50 per cento dei suffragi. Ma Alcide De Gasperi, lungimirante, resiste alle pressioni del Vaticano, che esplicitamente aveva chiesto un governo monocolore, ma non a quelle degli Stati Uniti d'America, che non vogliono un governo italiano con i comunisti e i socialisti. Così Alcide De Gasperi, forma un governo di Centro, con la Democrazia cristiana (DC), con il Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) il cui segretario era Giuseppe Saragat che, nel frattempo, si era staccato dal Partito socialista italiano, il Partito repubblicano italiano (PRI) e il Partito liberale italiano (PLI). 

Il clima era pesante e le scissioni politiche finirono per determinare anche le scissioni sindacali, che vanno dal 1948 al 1950.

La prima ad uscire dalla Cgil fu la componente cattolica guidata da Giulio Pastore, nel mese di ottobre del 1948. Nel mese di giugno del 1949, i socialdemocratici e i repubblicani diedero vita alla Federazione italiana dei lavoratori. Il 5 marzo 1950 nasce l'Unione italiana del lavoro (UIL) e il 1° maggio 1950 nasce la Confederazione italiana sindacati dei lavoratori (CISL).

A questo punto le profonde divisioni ideologiche dei partiti si trasferiscono, in maniera quasi naturale, nei sindacati.

Gli USA, attraverso i suoi ambasciatori in Italia, inizia un processo di pressione, per timore della costituzione di un baluardo comunista nel cuore dell'Europa, e al di fuori dei Patti di Yalta, pressione che viene subito recepita dall'allora ministro dell'interno, il siculo/calatino Mario Scelba che aveva dato vita ad una struttura poliziesca, "La Celere", una polizia di pronto intervento che si distinse, in quegli anni, di non esitare a sparare sui lavoratori che manifestavano provocando morti e feriti.

Una delle città simbolo di questi eccidi fu Modena, dove il 9 gennaio 1950, lavoratori e cittadini manifestarono contro il licenziamento di 500 operai delle Fonderie Riunite.

Furono uccisi a "freddo": Angelo Appiani, metallurgico di 30 anni; Arturo Chiappelli, spazzino 43 anni; Arturo Malagoli, bracciante di 21 anni; Roberto Rovatti, metallurgico di 36 anni; Ennio Garagnani, carrettiere di 21 anni; Renzo Bersani, metallurgico di 21 anni. Oltre 200 i feriti e 46 gli arrestati.

A Torino, il cuore pulsante dell'industria automobilistica, interviene, così come possiamo leggere nell'Enciclopedia Treccani online: "La nuova ambasciatrice degli Usa in Italia, Clara Boothe Luce, fu tassativa: o la Fiom debellata alla Fiat o gli Usa avrebbero sospeso ogni commessa con la fabbrica torinese. Vittorio Valletta, presidente e ad, obbedì. Contro la Fiom fu lanciata una campagna persecutoria, senza esclusione di colpi, spudoratamente anticostituzionale. Nel 1955, nelle elezioni per la Commissione interna, per la prima volta la Fiom perse la maggioranza e a partire da quel momento non ci fu più limite all'imperiosità di un comando ormai senza più limiti. Il colonnello Renzo Rocca, alto dirigente del Sifar, il servizio segreto, mise a disposizione gli archivi dei servizi per facilitare il ricatto e la persecuzione dei militanti operai. L'ex capo partigiano bianco Edgardo Sogno, amico dell'ambasciatrice Usa, e il provocatore di professione Luigi Cavallo, espulso dal Pci si occuparono di orchestrare la campagna che portò alla disfatta della Fiom".

Ma le Regioni più colpite furono la Sicilia e la Puglia che pagarono anche in numero di vittime e di feriti. 

La CGIL nel 1949, al Congresso di Genova lancia l'iniziativa del "Piano del lavoro" che "prevedeva la nazionalizzazione dell'energia elettrica e un programma esteso di lavori pubblici in edilizia e agricoltura". Il Piano era un invito alle classi dirigenti di dare avvio alle cosiddette "riforme di struttura".

Il segretario della CGIL, Giuseppe Di Vittorio, al Congresso di Napoli del 1952, ha l'intuizione di lanciare una proposta, che all'epoca fece grande scalpore: uno Statuto dei lavoratori che permettesse alla Costituzione, e quindi ai diritti, di entrare nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro.

Negli anni successivi ci furono convegni, indagini, studi fino all'inchiesta parlamentare sulle condizioni dei lavoratori in Italia, pubblicata in 16 volumi nel 1959 che denuncia: "… all'interno delle fabbriche, dei luoghi di lavoro, i diritti costituzionali di libertà non sono operanti; anzi, si è documentata una dura realtà, fatta di diffusa illegalità, di arbitrio e di ricatto ai danni dei lavoratori. La Costituzione, fu detto, s'è arrestata ai cancelli delle fabbriche".

Poi arrivarono i governi di centro sinistra con il PSI e, finalmente,  venne aapprovata la Legge 20 maggio 1970 n.300 che permise alla Costituzione di valicare i cancelli delle fabbriche.

E per concludere. Nella scorsa settimana c'è stata una polemica tra Concita De Gregorio, giornalista de "la Repubblica" ed Emanuele Macaluso che, all'età di 96 anni, compiuti lo scorso mese di marzo, riesce a dare testimonianza di una lucidità impressionante. E di grande saggezza.

Concita De Gregorio fa un'analisi catastrofica, al limite della guerra civile e che nell'immediato ci porterà ad "Un assalto al bancomat, una, due, tre, dieci vetrine spaccate per portare via quelle tre cose rimaste dentro. Un negoziante che prende a martellate il suo locale, una madre di tre figli che non potrà tornare al lavoro e promette: domani mi incateno davanti alla scuola".

Scrive Macaluso: "L'articolo, ripeto apparso su La Repubblica, continua sempre su questo tono. Anche io ho avvertito, in questi giorni, che la situazione economica che si va determinando è certamente preoccupante. Ma nello scritto di De Gregorio sembra che lei, e solo lei, intuisca il nostro futuro prossimo già in atto. Di fronte ad una situazione sociale effettivamente pesante pare che non vi siano più il sindacato, le forze politiche, le istituzioni, dal Comune alla presidenza della Repubblica. Tutti dileguati. Sembra, messa così, che non vi siano nemmeno i giornali che possano incanalare il comprensibile malcontento, anche la rabbia, verso obiettivi politici e sociali. E non verso la disperazione".

Riprendiamoci il diritto di pensare, prendiamo atto della complessità, e che complessità, della situazione, che stiamo vivendo e che ci aspetta. Sarebbe già questo una buona predisposizione all'inizio della ripartenza. 

 

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