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Io mi chiamo nessuno

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 Lui si chiama nessuno, non ha un nome.

Da quando è in Italia, a Terracina, due passi da Roma, conosce solo lavoro. Duro, nei campi. Dodici ore al giorno. Quattro euro l'ora. Nessun diritto, nessun riposo, nessun congedo, neppure per malattia. Uno schiavo nelle mani di un delinquente. Anzi di due padre e figlio. Entrambi imprenditori agricoli.
Padroni, non soltanto della loro azienda, ma anche delle vite dei dipendenti. Cosa loro. Cosa nostra.
Coronavirus, lui ha pensato, ho solo 33 anni, sono troppo giovane per morire. I passi veloci verso i titolari, la voce umile ma dignitosa. Per favore, ho bisogno di una mascherina. Torna subito al lavoro. Non posso senza protezione, è mio diritto! Si avventano, la furia è su di lui. Calci, pugni, anche quando è a terra. Così impari la lezione. Lo buttano in un canale, non dà più segni di vita. Punirne uno per educarne cento.
Lui, nessuno, è sanguinante. Corre in ospedale, poi dai carabinieri. Che arrestano i due delinquenti nel giro di poche ore. Sono in manette, ed io ne sono felice.

 

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