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Con la sentenza n. 22634/2019, pubblicata il 10 settembre 2019, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha chiarito che nei casi di prestazioni lavorative dall'elevato contenuto professionale, prestate negli studi legali, il giudice di merito deve valutare l'inquadramento del lavoratore (autonomo o subordinato) ai fini della previsione dell'art. 2094 c.c.secondo alcuni elementi.
I giudici di legittimità hanno così determinato in maniera specifica quali elementi a tal fine vanno valutati: attività prestata nello studio, l'impossibilità di svolgere la professione di avvocato in mancanza del titolo, le direttive impartite dal titolare dello studio, l'osservanza di un orario di lavoro, la natura delle mansioni di supporto nell'interesse del titolare dello studio e dei clienti.
I Fatti
Nel 1984 Tizio era stato assunto presso uno studio legale con un contratto di lavoro subordinato con la qualifica di segretario. Nel 1990 veniva licenziato e subito dopo stipulava con lo stesso studio legale un contratto di lavoro autonomo, proseguendo l'attività fino al 2001.
Il lavoratore proponeva ricorso per ottenere il pagamento di differenze retributive, sostenendo la natura subordinata dell'intero rapporto di lavoro dal febbraio 1984 al maggio 2001.
Il giudice di primo grado rigettava la domanda proposta dal lavoratore. Tale decisione veniva però riformata dalla Corte di Appello di Bari che riconosceva la natura di lavoro subordinato dell'intero rapporto di lavoro.
Avverso la decisione emessa della corte territoriale proponeva ricorso in Cassazione il datore di lavoro che tra i vari motivi eccepiva la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 2094 del codice civile, in quanto il giudice di merito avrebbe effettuato, a parere del ricorrente, un esame incompleto degli indici normativi di individuazione della natura del rapporto di lavoro.
Motivi della decisione
Innanzitutto i giudici di legittimità hanno ribadito che,ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo, (cfr. Cass., n. 5960 del 1999; n. 14664 del 2001; n. 8254 del 2002; n. 13448 del 2003; n. 9808 del 2011; n. 17009 del 2017).
Hanno poi affermato che"costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore dì lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato, (cfr. Cass., n. 4500 del 2007)."
Nel caso di prestazioni di natura intellettuale o professionale, il Supremo Collegio ha affermato cheè possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l'assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria (cfr. Cass., S.U., n. 379 del 1999; n. 9623 del 2002; n. 13935 del 2006; n. 4500 del 2007; n. 9252 del 2010).
Nel caso di specie i giudici della Sezione Lavoro hanno stabilito che la Corte d'appello aveva correttamente individuato gli indici normativi del lavoro subordinato ed autonomo e gli elementi indiziari ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro e conseguentemente hanno affermato che la sentenza impugnata si è conformata ai principi di diritto sopra enunciati sottraendosi alle censure di violazione dell'art. 2094 c.c.
Per tali ragioni e per quelle altre spiegate relative agli altri motivi del ricorso i giudici della Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso e condannato alle spese legali il ricorrente.
Si allega sentenza.
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L´Avv. Giovanni Di Martino, coordinatore dello Studio insieme all´Avv. Pietro Gurrieri, nel 1986 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Catania. Da oltre 25 anni esercita la professione di avvocato con studio in Niscemi (CL) ed è iscritto all´Albo degli avvocati del Consiglio dell´Ordine di Gela oltre che in quello speciale dei Cassazionisti e in quello delle altre Giurisdizioni Superiori.
Ha ricoperto la carica di amministratore del Comune di Niscemi (CL) e quella di Vice Presidente Nazionale della Associazione "Avviso Pubblico Enti Locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie" (2007-2013),
Nel corso della sua carriera professionale ha assunto il patrocinio in favore di numerosi soggetti privati ed enti pubblici sia in sede giudiziaria ed extragiudiziaria, in diverse materie di diritto civile.