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Ignazio Coppola, “Anche Garibaldi pagò il pizzo”

rizzo


Nonostante siano trascorsi 160 anni dallo sbarco dei Mille Garibaldini in Sicilia, ancora c'è chi, e non è il solo, di quella spedizione, che altro non è, se non il primo atto, delle battaglie, degli intrighi, veri o presunti, delle ragioni, o dei torti, che portarono a quell' Unità d'Italia, perennemente mette in discussione.

"I picciotti di mafia nell'impresa dei Mille", è il sottotitolo di questo agevole libretto di Ignazio Coppola, uscito lo scorso anno per le edizioni "Sce", spazio e cultura di Palermo.

L'Autore è un pubblicista palermitano che si è, da molti anni, occupato di questioni risorgimentali. In questo testo, attraverso "una nuova raccolta di saggi" si occupa del Risorgimento che, per ciò che riguarda la Sicilia, ci conduce ad un giudizio negativo sul "Risorgimento Siciliano" con una lettura degli avvenimenti che si contrappone ai testi sul Risorgimento scritti dagli "accademici delle università".

E come ci avverte il prof. Lucio Zinna nella Prefazione, questo lavoro è da ascriversi "… nell'ambito, ormai non esiguo, del cosiddetto 'revisionismo storico', riguardante eventi e personaggi in cui maturò l'unità d'Italia, con atteggiamento mirato a considerare anche le ragioni dei vinti, solitamente fin troppo trascurate". E il prof. Zinna offre una robusta bibliografia a supporto della sua tesi e della legittimità di questo lavoro di Ignazio Coppola.

Nel libro c'è pure una Postfazione del prof. Tommaso Romano.

E' interessante, in questo lavoro di Coppola, la capacità di attualizzare il passato con avvenimenti della nostra epoca, giustificati dalla teoria vichiana dei "Corsi e ricorsi storici".

Per una corretta definizione del termine "picciotto", Coppola ricorre ad un articolo di Leonardo Sciascia, apparso sulla Storia illustrata nel 1972: "Quando nella rievocazione dell'impresa di Garibaldi si parla di 'picciotti', la parola non va intesa nel senso di una gioventù che spontaneamente corre sotto le bandiere garibaldine a combattere contro la tirannide borbonica; ma nel senso di una coscrizione, di un reclutamento, operato dalla classe borghese mafiosa e dagli ultimi baroni, tra i contadini del feudo. E del resto ancora oggi nel gergo mafioso con il termine 'picciotto' si indicano gli esecutori di ordini scellerati  (come i bravi di manzoniana memoria)". E "picciotti", sono stati, e sono tutt'oggi, gli esecutori dei più efferati delitti e stragi di mafia.

Ma Sciascia, però, non nega che tra i Mille di Garibaldi ci fossero giovani contadini e volontari animati dalla fame di giustizia sociale e che hanno creduto su una reale "rinascenza" dell'Isola. E non è il solo Sciascia a nobilitare le pattuglie di giovani che, dal 1820 fino al 1848 e dall'esilio di Malta e di altre nazioni continuarono a credere nella possibilità che, con la Casa Savoia, barattando la Repubblica sognata con la monarchia imposta dalla necessità, finalmente si potesse realizzare quell'antico sogno unitario. 

E  per la presenza della mafia in Sicilia, dal 1860 ai nostri giorni, Coppola fa riferimento ad altri episodi e altri avvenimenti che vanno dall'opera di don Calogero Vizzini, capo mafia indiscusso in Sicilia negli anni Trenta/Quaranta e, cosa veramente singolare, si fa riferimento, anche, ad un pentito di mafia, tale Antonino Patti "uomo d'onore e pluriomicida", che nell'autunno 1997, mette a verbale davanti il sostituto procuratore di Palermo Massimo Russo: "All'atto dello sbarco a Marsala anche Garibaldi pagò il pizzo alla mafia. Questo ho appreso durante una riunione con alcuni vecchi uomini d'onore (costoro ovviamente costituivano la memoria storica dell'organizzazione criminale) i quali mi dissero tra l'altro che cosa nostra esiste fin dal 1800. Questi vecchi uomini d'onore discutevano del fatto che pure Garibaldi pagò il pizzo per sbarcare a Marsala. Ha dovuto versare una certa somma per attraversare la città e un'altra per arrivare a Salemi".

La seconda parte del libro si occupa di due fatti molto inquietanti. Le uccisioni di due personaggi di primo piano dell'impresa Garibaldina: Giovanni Corrao e Rosalino, o Rosolino Pilo (vedi foto).

Due figure, il primo rampollo di antico "casato", il secondo da una famiglia di "calafati" , operai che lavoravano nella cantieristica navale.

Due figure che si erano impegnati nel programmare lo sbarco dei Mille. Ma anche nelle fasi progettuali. Sia durante la rivoluzione del 1848, sia durante l'esilio, chi a Malta chi altrove, mi viene da dire, nel libro non c'è alcun accenno, con spirito patriottico.

Invece, di patrioti,  alla fine della lettura, tra generali borbonici, avidi ma competenti, che si vendevano per denaro, e mafiosi, di alto o basso bordo, non 'è nemmeno l'ombra.

Ignazio Coppola cita un aforisma di Jean Cocteau, noto poeta, saggista, sceneggiatore e tanto altro ancora: "Che cosa è la storia dopo tutto? La storia è fatta di avvenimenti che finiscono per divenire leggende e le leggende bugie e falsità che finiscono col divenire storia". A testimoniare le difficoltà quando si mette mano ai documenti di archivio, alle testimonianze e, per andare lontano, ai codici. E questo vale sia per gli "accademici" sia per tutti gli altri che amano scrivere di storia. 

 

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