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Ecco gli adempimenti del giudice per il riconoscimento delle sentenze straniere di condanna degli enti

La S.C. ha affermato che il giudice italiano, per poter riconoscere la validità, anche nell´ordinamento interno, a sentenze straniere di applicazione di sanzioni pecuniarie nei confronti di enti, deve solo verificare la ricorrenza dei presupposti richiesti dal D.lgs. 15 febbraio 2016 n. 37, senza che possano trovare applicazione le norme del D.lgs. 231/2001.
FATTO
La Corte di Appello di Milano aveva riconosciuto la validità di un provvedimento del Tribunale di Utrecht di applicazione di una sanzione pecuniaria, emesso nei confronti del legale rappresentante di una società per una violazione del codice della strada, commessa da un dipendente della sua società con un veicolo locato dalla stessa.
La decisione, secondo la Corte di appello, poteva trovare riconoscimento in Italia secondo la procedura interna con la quale era stata data attuazione alla decisione quadro dell´Unione Europea n. 2005/214/GAI che ha fissato la disciplina per il reciproco riconoscimento di provvedimenti che irroghino sanzioni pecuniarie.
Il legale rappresentante, invece, si opponeva alla decisione, ricorrendo in Cassazione e lamentando che il giudizio nei Paesi Bassi fosse stato affetto da errori procedurali che avrebbero dovuto condurre a non riconoscergli validità in Italia.
Lamentava altresì che vi fossero dei limiti ostativi anche sostanziali alla riconoscibilità di detta decisione, proprio in forza della normativa interna italiana.
MOTIVAZIONI
Con la sentenza n. n. 22334 ud. 10/05/2018 - depositata del 18/05/2018,la sezione VI della Corte di Cassazione ha ripercorso quelli che sono i limiti per il riconoscimento delle sentenze straniere applicative di sanzioni pecuniarie, indicando quali requisiti debbano rispettare i provvedimenti esteri e l´iter per la loro trasmissione allo stato al quale viene chiesto il riconoscimento.
In breve, la Corte ricorda come, avendo dato attuazione alla decisione quadro, l´ordinamento italiano ha inteso implementare la cooperazione con gli altri stati europei, permettendo il riconoscimento delle decisioni applicative di sanzioni pecuniarie sia in materia civile che in materia penale, anche in condizioni di non reciprocità.
Il riconoscimento di una sentenza straniera, infatti, non richiede più una perfetta sovrapponibilità tra la disciplina procedurale dello stato che chiede il riconoscimento del provvedimento e di quello che lo ha emesso.
Peraltro, sono anche previste delle eccezioni rispetto al principio della doppia incriminazione, come nel caso delle violazioni del codice della strada.
Ai fini del riconoscimento della decisione straniera, quindi, non hanno alcun rilievo gli errores in procedendo e in iudicando che non abbiano determinato una violazione del divieto di non discriminazione o dei diritti fondamenti, o, ancora, dei principi fondamentali sanciti dall´art. 6 del TUE.
Il giudizio di fronte alla Corte di Appello, infatti, non costituisce un grado di impugnazione straordinario rispetto alle decisioni del giudice straniero, ma verifica solo la ricorrenza di quei presupposti richiesti per il riconoscimento.
La Corte si è limitata, quindi, correttamente a verificare la ricorrenza di tali presupposti e l´assenza di cause ostative alla luce del certificato che deve esserle inviato, in italiano, insieme alla decisione della quale uno stato chiede il riconoscimento.
Questo certificato deve contenere una serie di informazioni che permettano alla Corte di verificare la regolarità del provvedimento emanato dallo stato straniero e le condizioni per la sua riconoscibilità.
Deve contenere: l´indicazione della decisione da riconoscere, l´illecito oggetto del procedimento, il destinatario, nonché l´attestazione dell´osservanza delle disposizioni tese a garantire il suo diritto di difesa.
Superate dunque le doglianze con riferimento ai profili procedurali, la Corte passa a verificare la fondatezza delle doglianze sostanziali.
Il ricorrente riteneva, infatti, che non potesse essere riconosciuta la decisione in Italia anche perché la sanzione non era stata irrogata in conseguenza di un reato, mentre la disciplina del riconoscimento poteva trovare applicazione solo rispetto a tali illeciti. Affermava inoltre come la decisione fosse stata resa nei confronti di un legale rappresentante di una società e che quindi il reale destinatario della sanzione fosse un soggetto diverso da persona fisica rispetto al quale il procedimento seguito non poteva trovare essere applicato.
La Corte smentisce entrambe le doglianze, promuovendo una corretta lettura della normativa di attuazione della decisione quadro.
Rilevano infatti i giudici come l´art. 2 D.lgs. 37/2016, in conformità alla norma comunitaria, ricomprenda nel proprio campo di applicazione non solo le decisioni adottate da un´autorità giudiziaria, ma anche da quella amministrativa e, dunque, sia in caso di sanzioni pecuniarie penali che amministrative.
Quanto, invece, alla responsabilità delle persone giuridiche, rileva come, se è fuori di dubbio che il d. lgs. 231/2001 detti una disciplina stringente che subordina a rigidi requisiti l´applicabilità di una sanzione nei confronti degli enti giuridici, nondimeno il legislatore comunitario e quello nazionale - entrambi intervenuti dopo il 2001 - hanno espressamente ricompreso nel campo di applicazione della procedura di riconoscimento citata anche le sanzioni irrogate contro le persone giuridiche, prescindendo quindi dai presupposti nazionali del D.lgs. 231/2001.
Dott.ssa Giulia Zani

 

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