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Il Presidente della Repubblica Popolare cinese, Xi Jimping è in Italia.
È stato accolto non come un presidente, ma come un semidio. Una suite degna dell'Olimpo, il Quirinale come al giorno della festa della Repubblica, premier e ministri a rendere omaggio al capo della Cina.
Nulla da dire: la via della seta, di cui è stato ripetutamente richiamato il grande valore interculturale, sa molto, scusate la brutalità, di grande business, ed è difficile, per tutte le èlites, rimanerne indifferenti.
Insomma, le ragioni della festa possono esserci tutte. Ma qui, signor presidente della Cina, noi avvocati vogliamo fare i guastafeste, e farle alcune domande. Farle delle domande per modo di dire, perché, a parte il nostro collega Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei ministri del nostro paese, e a parte forse l'altro collega membro del governo, il ministro di Giustizia Alfonso Bonafede, noi non saremo tra quelli che avranno la fortuna di poter interloquire con Lei, e sinceramente dubitiamo che i sopra nominati colleghi le gireranno mai le domande che adesso le facciamo, sperando che, per qualche insolito gioco del destino, qualcuno possa avere l'impertinenza, a costo di rischiare l'incidente diplomatico e magari stroncare sul nascere ogni prospettiva di collaborazione tra il Suo impero e la Repubblica che fu anche paese natio di Marco Polo.
Andiamo al sodo, presidente Xi e risponda a queste domande.
Le risulta che poche settimane fa un tribunale di Tianjin ha condannato a quattro anni e mezzo di carcere l'avvocato Wang Quanzhang, con l'accusa di tentata sovversione al potere dello Stato, cioè di quello Stato di cui Lei è il vertice supremo?
Conosce, signor presidente, questa condanna che è stata inflitta ad uno dei colleghi che più si sono battuti nel suo paese per diritti, quelli umani, che nella maggior parte dei casi sono sistematicamente ignorati, se non oltraggiati? Sa che l'avvocato Wang è stato condannato, così hanno riportato i più grandi media del mondo e così ha affermato anche Amnesty International, che sul punto ha vibratamente protestato, in quanto ha difeso attivisti politici, persone a cui avevano sequestrato la terra e membri del gruppo religioso bandito dalle autorità di Pechino, il Fa lun Gong?
Lei sa che il Tribunale del Suo paese che lo ha condannato, come accade spesso nei regimi dispotici, ha celebrato un processo a porte chiuse, privando l'imputato, del quale era stata probabilmente già scritta la condanna, di ogni elementare garanzia di difesa?
Lei sa che, per dare meno nell'occhio, quel processo è stato celebrato il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, non per associarlo al ricordo di un martire, quale è stato questo collega nelle mani dei suoi giudici, ma per fare in modo che, in quel giorno per noi occidentali così importante, ci fosse la minore attenzione possibile, in modo che si potesse parlare il meno possibile di un processo farsa che ha colpito uno degli uomini migliori del suo paese?
Lei sa, ancora, che quella sentenza, grave ed illegittima, è stata emessa dopo che l'avvocato Wang era imprigionato da anni, e che le autorità del suo paese sono pure arrivate al punto di privarlo dei più elementari diritti politici per altri 5 anni? Lei sa che la moglie, Li Wenzu, non ha avuto accesso all'aula la quale si svolgeva il vergognoso processo al proprio coniuge?
Lei, orgoglioso delle tradizioni della Sua Cina, dovrebbe, prima di mettersi a tavola con i responsabili politici ed istituzionali del paese che fu di Cesare Beccaria, rispondere a queste domande. Lei dovrebbe semplicemente alzarsi e lasciare l'Italia immediatamente nel caso in cui la sua risposta anche ad una sola di esse fosse affermativa, o impegnarsi sul suo onore a garantire all'avvocato Wang la revisione del proprio processo nel rispetto dei diritti fondamentali che competono ad ogni persona umana.
Dignità che dovrebbero avere anche quanti l'hanno invitata e con lei condividono la mensa perché sui diritti umani fondamentali non è possibile transigere, a meno di rinunciare ad essere uomini dalla schiena dritta.
Noi non abbiamo nulla contro la Cina, un grande ed antico paese del quale ammiriamo la cultura, le straordinarie tradizioni, la bellezza dei paesaggi, l'incanto delle opere d'arte, la determinazione e laboriosità della sua gente.
Ma le chiediamo giustizia per l'avvocato Wang, in prigione dal luglio 2015, quando venne preso in consegna dalle forze dell'ordine durante una retata che ha portato all'arresto di circa 250 tra avvocati e attivisti in Cina.
Le ricordiamo che Amnesty International ha definito la sua condanna "oltraggiosa" e che dal giorno dell'arresto, nel 2015, la famiglia di Wang non ha avuto più sue notizie per quasi tre anni, e che la moglie per protesta ha marciato per 100 km nel Paese.
Faccia un gesto di distensione verso la comunità internazionale, di generosità nei confronti degli avvocati di tutto il mondo. Liberi Wang, lo liberi incondizionatamente o gli assicuri un processo equo alla presenza di osservatori internazionali. Oppure, la preghiamo, lasci il nostro paese. In tal caso non la rimpiangeremo, anche se non si aprissero mille strade della seta.
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