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"Avvocato, mi permetta di morire da uomo libero". Il grido non ascoltato di Giorgio, l'atto di accusa di Francesca

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 Una storia distinta da un finale triste, quella di Giorgio. Una storia che occorre raccontare non solo per tributare un saluto ad un uomo gravemente malato e morto dietro le sbarre di una prigione, nella quale era entrato per pagare il proprio debito con la giustizia, ma soprattutto perchè a nessun altro sia riservata la sua stessa sorte. "Ho voluto raccontare la storia di Giorgio, che era un uomo e un malato prima che un imputato e un detenuto". Parole di Francesca Brocchi, il suo avvocato che, con una accorata, commovente lettera trasmessa al ministro di Giustizia, ha voluto rendere nota la storia del suo cliente, che si è insersecata con la sua. "Una storia" - ci dice - "che risveglia le coscienze e pone due temi: l'urgenza di ridurre i tempi per le diagnosi di tumore per i detenuti e la necessità di accelerare e rendere più efficace la comunicazione tra carcere, Autorità Giudiziaria e difensore". Unica via per salvaguardare "il diritto alla salute e quello alla difesa".

Abbiamo chiamato la Collega, Francesca Brocchi, del Foro di Milano, perchè condividiamo la sua lettera e il suo appello ad una Giustizia che assicuri umanità, e che sappia dotarsi delle procedure migliori, soprattutto più celeri, perchè ciò possa avvenire. Sapendo che un malato terminale in cinque giorni - tanti ne sono passati dall'ultima richiesta di Francesca - può morire non una, ma cinque volte, ogni giorno, ogni ora. Che la morte non aspetta una firma, nè i tempi di un giudice. Che se non riusciremo a garantire un pò di umanità anche a chi - giustamente - sta pagando per la propria condotta, moriremo tutti di asfissia.

Siamo alla fine di luglio, lei, Francesca, ha fatto presente le condizioni, disperate, del proprio Cliente. Ma quando arriva al Palagiustizia, apprende che la Corte d'Appello non si è ancora riunita per decidere sulla revoca o sostituzione della misura, quindi velocemente scrive a mano una lettera per rappresentare le attuali condizioni in cui ha trovato Giorgio, il pericolo di vita in cui si trova, chiedendo che con un ultimo gesto di umanità e clemenza gli fosse concesso di morire da uomo libero, revocando la misura cautelare in atto. La Corte risponde con un'ordinanza interlocutoria, chiedendo al difensore di individuare un HOSPICE ove il detenuto possa essere ricoverato in regime di arresti domiciliari, come richiesto anche dal PG.

Siamo alla fine di luglio, lei, Francesca, ha fatto presente le condizioni, disperate, del proprio Cliente. Ma quando arriva al Palagiustizia, apprende che la Corte d'Appello non si è ancora riunita per decidere sulla revoca o sostituzione della misura, quindi velocemente scrive a mano una lettera per rappresentare le attuali condizioni in cui ha trovato Giorgio, il pericolo di vita in cui si trova, chiedendo che con un ultimo gesto di umanità e clemenza gli fosse concesso di morire da uomo libero, revocando la misura cautelare in atto. La Corte risponde con un'ordinanza interlocutoria, chiedendo al difensore di individuare un HOSPICE ove il detenuto possa essere ricoverato in regime di arresti domiciliari, come richiesto anche dal PG.

Si tratta degli ultimi passaggi della missiva di Francesca al ministro: La mia lettera "non è stata presa in considerazione ai fini della valutazione della situazione critica in cui si trovava il detenuto, né è stato richiesto un aggiornamento sulle sue condizioni di salute". . Sempre il 25 luglio 2019, ricevuta l'ordinanza della Corte, "il difensore si è immediatamente attivato per avere informazioni telefoniche circa la possibilità o meno di uno spostamento dal reparto di rianimazione in un Hospice. Il 26 luglio 2019 la PEC del difensore viene girata al Procuratore Generale per il parere sulla revoca della misura. Il difensore nel pomeriggio si è recato un'ultima volta presso il reparto di rianimazione dell'Ospedale San Paolo per accertarsi delle condizioni cliniche del suo assistito e ivi viene diffidata dal chiedere notizie in merito al personale medico ed infermieristico. La situazione è la seguente: Giorgio è sempre allettato, con i polsi legati al letto, intubato e tenuto in vita dalla respirazione assistita, è ancora presente il drenaggio toracico, è un po' più sveglio e reattivo rispetto al 24.07 e tuttavia riesce a sillabare con il labiale solo poche parole mute "VOGLIO MORIRE. VOGLIO MORIRE". La sofferenza di Giorgio è indicibile, tra le lacrime il difensore gli promette che avrebbe continuato a battersi per lui, per fare in modo che possa morire da uomo libero".

Siamo al 29 luglio 2019. "Il parere del Procuratore Generale favorevole alla sostituzione della misura custodiale con quella dell'obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria" - racconta l'avvocato - "arriva in cancelleria della Corte di Appello. Però è troppo tardi, la Corte non fa in tempo a decidere sul punto. Arriva una telefonata: Giorgio è morto"

Lei scrive al ministro, gli manda una lettera di cinque pagine, gli racconta la storia fin dall'inizio. E conclude così, con un atto di accusa e la richiesta che si apra una indagine. Riportiamo pee intero: "L'esposizione, un po' lunga e forse troppo dettagliata, dei fatti rende evidente come Giorgio non abbia potuto
accedere tempestivamente alle diagnosi ed alle cure che necessitavano e dunque la malattia sia progredita
troppo velocemente verso l'esito infausto di cui dobbiamo prendere atto. Le comunicazioni della Casa di Reclusione di Opera con l'Autorità Giudiziaria sono avvenute spesso con forte ritardo, ponendo la stessa AG nell'impossibilità di prendere decisioni tempestive ed adeguate alla realtà delle
condizioni cliniche del paziente/detenuto, ad oggi (per quanto a conoscenza del difensore) non è presente in
atti una relazione aggiornata sulla situazione clinica, così come si è aggravata dal 18 luglio in avanti, e non vi sono documenti relativi al ricovero in fin di vita di Giorgio nel reparto di rianimazione.
Il difensore è stato ostacolato nell'accesso alle informazioni sullo stato di salute del proprio assistito ed anche fuorviato circa l'esatto collocamento dello stesso, in istituto ovvero in ospedale.
Confido che quanto accaduto possa essere indagato e approfondito dalle competenti Autorità, al fine di individuare eventuali ritardi od omissioni, che abbiano determinato la prematura scomparsa del mio assistito,
ovvero al fine di impedire che si ripetano in futuro simili violazioni del diritto dei detenuti alla salute ed alla difesa nel processo penale.
Porgo i miei rispettosi ossequi.
Avv. Francesca Brocchi (Foro di Milano)".

Un appello che condividiamo e rilanciamo.

 

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