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“AI GIOVANI? LASCIAMO IL DIRITTO DI CRESCERE!”.

rizzo

 Questa frase di Benedetto Croce, da parecchio tempo, mi ronza in testa. Soprattutto, quando sentiamo pontificare sulle problematiche giovanili, sulle loro idee, quasi sempre definite "stravaganti", sui loro progetti, sulle loro scelte, sui loro sogni…! Sulle loro visioni del futuro!

E, quando, ci si trova a giudicare qualche loro azione, lo si fa, il più delle volte, con aria di sufficienza, quando non di fastidio.

Sono un insegnate in pensione che ha svolto la sua professione in Canton Ticino. Cantone di lingua italiana in Svizzera.

Durante le mie capatine ticinesi, soprattutto nei periodi natalizi, mi capita spesso di incontrare, oltre qualche collega, anche parecchi ex allievi. Che difficilmente rinunciano ad organizzare qualche cena nel periodo della mia permanenza.

I ricordi affollano la memoria e non sempre si riesce a quantificare le volte che un allievo sia stato fonte di dispiacere, non molti devo confessare, o di gioia. Tantissimi!

Ricordo un natale, di qualche decennio fa. Ero stato invitato in casa di due ex colleghi. Lui già in pensione, lei sulla soglia del traguardo, e mi avevano preparato una sorpresa, con qualche piccola raccomandazione. Lì per lì facevo fatica a capire il senso di quelle raccomandazioni.

Suonano alla porta e mi viene incontro Moreno. Oggi un bel giovanotto a fronte del "tappetto" di qualche decennio fa.

"Guarda che è cambiato moltissimo". Mi si fa notare sottovoce la mia ex collega, come se ci si aspettasse qualche mio disappunto per la sorpresa.

Non c'è voluto molto a capire i grandi cambiamenti sia nella vita privata, che in quella professionale. Convive con una brava ragazza e nel frattempo ha portato a termine due apprendistati. Il secondo da infermiere, professione che esercita, nel sociale.

 E Moreno, devo dire, ha cercato di farmi capire, con lo sguardo e con qualche confidenza, che in lui c'è stato un cambiamento radicale e virtuoso.

Mi scuso per questo "incipit", quasi da novella da appendice.

A metà marzo, di quello stesso anno incontro, al mio Paese di origine, i ragazzi di "Addiopizzo" che avevano messo a soqquadro i rapporti tra gli ambienti malavitosi di Palermo e i commercianti di quella città che pagano il "pizzo", la tangente alla mafia.

La mia prima sorpresa: trovarmi davanti a dei ragazzini con il piglio, con il coraggio e la determinazione, che difficilmente riusciamo a leggere, soprattutto in Sicilia, nei volti degli adulti. Quei ragazzi ai quali dovremmo lasciare loro "il tempo di crescere", per dirla con il buon Benedetto Croce.

Quanta differenza tra questi giovani ed altri che non esiterebbero un istante a rivolgersi ad un boss mafioso, ad un politico per un favore, per un posto di lavoro.

Questi ragazzi di "Addiopizzo" il 29 giugno 2004, tappezzarono la città di Palermo con centinaia di piccoli adesivi, listati a lutto con un messaggio mai letto prima: "Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità".

Apriti cielo!

Si mobilitarono tutte le forze dell'ordine, i mass media, le associazioni di categoria…!

I ragazzi scrissero una lettera ai giornali e solo l'inserto regionale de "la Repubblica" l'aveva pubblicato integralmente il primo luglio di quell'anno.

"…Qualche altra volta ci siamo sentiti dire che con i mafiosi in qualche maniera dobbiamo convivere, che entro certi limiti la malavita organizzata è una cosa fisiologica. Oggi invece si parla sempre meno di mafia, usura e racket, termini che rischiano di cadere in disuso. Ma la verità noi siciliani la sappiamo bene: ogni esercizio commerciale che fa un buon fatturato, se non è 'amico degli amici', deve pagare il pizzo. Tutti, nessuno escluso. Poco magari, ma tutti versano denaro 'per essere protetti'. Tutto ciò è saputo da tutti i siciliani. E quotidianamente dimenticato… […] Apparteniamo a due differenti generazioni, ma siamo principalmente studenti, giovani in cerca di una prima occupazione e lavoratori alle prime armi. Siamo mossi da idealità, entusiasmo e amor proprio. E dalla preoccupazione per le difficoltà che ci creerà la mafia quando entreremo (si spera!) nei luoghi produttivi e decisionali della Sicilia. […] Le nostre azioni vogliono porre un argine al silenzio, sono atti di ribellione alla sottocultura mafiosa e una forma di dissociazione attiva dall'indegno quietismo che si è consolidato soprattutto attorno al problema delle estorsioni mafiose…"

 Era l'epoca in cui in Italia governava Silvio Berlusconi che aveva dato ospitalità, in qualità di stalliere nella sua villa di Arcore, al capomafia Vittorio Mangano, grande amico del sodale berlusconiano Marcello Dell'Utri e condannato all'ergastolo per una serie di omicidi commessi in Sicilia, prima di riparare in Lombardia.

La storia poi si è fatta carico di dimostrare l'affidabilità del "senatore" Marcello Dell'Utri.

Era l'epoca in cui il ministro delle infrastrutture Lunardi del governo Berlusconi sosteneva pubblicamente che in Sicilia con la mafia bisognava convivere.

E sull'esempio dei ragazzi siciliani di "Addiopizzo", in Calabria, dopo l'omicidio del vice presidente della Regione Fortugno, altri ragazzi scesero per le strade con i cartelloni: "Ed ora ammazzateci tutti".

A questo punto una domanda sorge, almeno in un vecchio maestro di scuola come me. E non solo.

Croce è morto nel 1952. Sono passati oltre sessant'anni.

Quanto tempo dovremmo lasciare ai giovani affinché "maturino", per dirla con don Benedetto Croce!

Personalmente sono convinto che i giovani, in questi sessant'anni, sono cresciuti. E come!

E' sufficiente riflettere sulle eccellenze costrette a lasciare il Paese per un posto di lavoro o per un ulteriore arricchimento professionale.

Ma questo non deve distogliere l'attenzione sulla scuola, e quindi sui docenti in primo luogo, che devono dedicare, sempre maggiore impegno e maggior tempo, al ragazzo per maturare, crescere e diventare adulto.

E soprattutto. Che spazio trovano oggi nella scuola dell'obbligo, e non solo, quei ragazzi per dirla con Daniel Pennac, che soffrono "… la solitudine dello studente che non capisce", scoprendo, magari dopo qualche tempo, che il giovane si è arrangiato da solo?

Senza dimenticare il sacrosanto dovere delle istituzioni ad investire nella scuola quelle risorse necessarie ed indispensabili per poter svolgere dignitosamente il proprio ruolo.

Le risorse per la scuola e la cultura non sono spese. Ma investimenti.

 

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