Di Redazione su Venerdì, 04 Marzo 2016
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Scritti processuali dell´avvocato, a risponderne è la parte da lui rappresentata

Lo ha stabilito la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione con Sentenza n. 3274, depositata il 19 febbraio 2016, accogliendo il ricorso e cassando la Sentenza 6 novembre 2012, n. 860 della Corte di Appello di Salerno.
La Sentenza, conforme alla giurisprudenza del Giudice di legittimità, si concentra sulla lettera e la raio dell´art. 89 c.p.c. secondo cui "Negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive. Il giudice, in ogni stato dell´istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l´oggetto della causa".
Sulla portata del termine, si è andata intrattenendosi la dottrina, precisando che per "espressioni sconvenienti od offensive" devono intendersi, latamente, quelle espressioni, anche non immediatamente riguardanti l´oggetto della controversia, che, in sé considerate o per il costrutto logico nel quale sono inserite, oltrepassino una soglia minima di correttezza e di opportunità processuale in relazione alle parti presenti nel giudizio, in tal modo violando i principi, di estrazione costituzionale e civilistica, che presidiano il rispetto e la dignità della persona umana e dello stesso decoro del procedimento giurisdizionale.
Con la sentenza adesso in commento, la Corte di Cassazione, nel riaffermare che degli scritti difensivi a risponderne è sempre la parte, ha quindi cassato la sentenza impugnata con cui la Corte d´appello aveva condannato il legale ricorrente, che era il procuratore della parte attrice, a pagare, a titolo di risarcimento, una somma di denaro ad un collega, che si era costituito in proprio, ritenendosi offeso per gli scritti provenienti dal ricorrente.
Il percorso logico-argomentativo della Suprema Corte è stato semplice e lineare: dato che la sentenza che conclude il giudizio comporta effetti soltanto per le parti costituite (e, per quanto qui più interessa, per la parte rappresentata da quel legale, ciò comporta che l´unico soggetto cui può essere diretta una domanda risarcitoria ex art. 89 c.p.c. è sempre e soltanto la parte medesima, fermo restando il diritto di questa a chiamare in causa il proprio difensore (o, se condannata, a proporre domanda risarcitoria nei suoi confronti).
Quanto al difensore della parte, costui è, personalmente, titolare di legittimazione passiva riguardo un´azione risarcitoria causata da espressioni offensive negli atti del processo, nell´ipotesi in cui sia richiesto l´accertamento e la declaratoria della sussistenza di una specifica responsabilità del difensore e non sia più possibile procedere ex art. 89 c.p.c..
In ogni caso, tale legittimazione passiva del difensore, è inammissibile nel contesto dello stesso procedimento nel quale sono accaduti i fatti potenzialmente lesivi, ma soltanto nell´ambito di un successivo o collaterale giudizio.
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