L´agente della riscossione va condannato in solido con il titolare della pretesa al pagamento delle spese di lite in tutti i casi in cui il giudice al termine del giudizio di merito decida l´annullamento di una cartella per carenza di una condizione legittimante, restando irrilevante che essa sia precedente alla sua formazione. Il cittadino, destinatario della pretesa impositiva, anche quando si avvedesse di un tale vizio, non può in alcun caso omettere di impugnare la cartella, dato che in caso contrario la stessa decorso il termine di impugnazione, si trasformerebbe in un titolo esecutivo azionabile ai suoi danni. Pertanto, è illegittima la compensazione delle spese disposta, rebus sic stantibus, dal giudice di merito.
Il principio è stato affermato dalla Suprema Corte di cassazione, sezione Sesta civile, con ordinanza n 8736 depositata il 10 aprile 2018, con cui è stato accolto il ricorso proposto da un contribuente per la cassazione di una sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio che ne aveva rigettato l´appello proposto ai fini della riforma della sentenza del giudice di primo grado che, pur accogliendone la domanda e annullata la cartella dallo stesso impugnata, aveva disposto la compensazione delle spese.
Con il primo motivo, il ricorrente deduceva la violazione dell´art. 15 del d.lgs. n. 546/92 nonché degli artt. 91 e 92 c.p.c., dell´art. 118 disp. att. c.p..c., dell´art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e dell´art. 111 Cost., in quanto, erroneamente, i giudici d´appello, avevano confermato la compensazione delle spese disposta in primo grado, ritenendo che non si poteva imputare all´agente della riscossione alcuna responsabilità in ordine all´emissione della cartella e al conseguente giudizio di opposizione, avendo correttamente svolto il proprio operato. Con un secondo motivo, la violazione degli artt. 91 e 92
c.p.c., alla luce dell´art. 24 Cost. in quanto, il vizio di motivazione della disposta compensazione si ripercuoteva negativamente sulla sfera personale del contribuente frustrando il suo diritto alla
tutela giurisdizionale e al diritto di difesa.
Il Collegio ha ritenuto il primo motivo fondato, con assorbimento del secon affermando il principio secondo cui "In tema di riscossione tributaria, ove la cartella di pagamento sia annullata per omessa notifica di un atto
presupposto, le spese di lite vanno poste, in solido tra loro, a carico dell´ente impositore e del concessionario alla riscossione, che siano stati convenuti insieme dal contribuente, essendo entrambi soccombenti, in base al principio di causalità, rispetto all´opponente, il quale è, invece, estraneo alla circostanza, rilevante solo nei rapporti interni, per cui il secondo ponga in essere atti dovuti su richiesta del primo" (Cass. ord. n. 7371/17).
Del tutto errata pertanto, la considerazione, fatta propria dai giudici d´Appello, secondo cui "la dedotta prescrizione, imputabile alla Regione Lazio, non può riverberarsi, in termini di condanna alle spese, sull´Agente della riscossione che, invece, ha svolto correttamente il suo operato". Ciò anche in quanto "La notifica di una cartella di pagamento per un credito tributario ormai prescritto pone il contribuente in condizione di dover necessariamente impugnare l´atto per impedirne l´acquisizione di definitività, sicché la fattispecie non appare in alcun modo giustificare la deroga al generale criterio della soccombenza, che trova la sua ragione giustificativa nel principio di causalità, in forza del quale è tenuto a sopportare il carico delle spese del giudizio chi vi abbia dato luogo con il proprio comportamento".
Da qui la cassazione della sentenza ed il rinvio alla Commissione
tributaria regionale del Lazio, ai fini del riesame,alla luce dei principi sopra esposti,
della regolamentazione delle spese.
della regolamentazione delle spese.