Con una ordinanza depositata il 21 marzo scorso dalla Sesta Sezione Civile, la Suprema Corte di Cassazione, nel ribadire la propria giurisprudenza, ha dato torto al Comune di Milano, che, in una singolare contesa con un automobilista che era stato multato a causa dell´eccesso di velocità rilevato attraverso apparecchiatura elettronica ma che aveva ricevuto la notifica del verbale in ritardo rispetto al prescritto termine dei 90 giorni, aveva sostenuto che il termine de quo avrebbe dovuto farsi decorrere non dal dì del rilevamento ma da quello in cui la foto era stata esaminata Dagli uffici della polizia municipale, e pertanto a partire dal giorno dell´apertura dell´istruttoria. Ma i giudici del Palazzaccio hanno respinto in toto tale tesi, confermando l´orientamento tradizionale.
L´ordinanza in questione è stata depositata lo scorso 21 marzo dalla Corte di Cassazione, ed è la numero 7066/2018 resa in esito all´udienza del 12 settembre 2017.
La pronuncia in sintesi
L´articolo 201 del Codice della Strada stabilisce che se la violazione non può essere subito notificata al trasgressore, il verbale (con gli estremi dell´infrazione e l´indicazione dei motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata) deve, "entro 90 giorni dall´accertamento" essere notificato al proprietario dell´auto.
Nella fattispecie, tuttavia, secondo il ricorrente Comune di Milano, il periodo "entro 90 giorni dall´accertamento" avrebbe dovuto farsi decorrere non dal giorno in cui la violazione era stata riscontrata, ma dal successivo momento nel quale, all´interno dei propri uffici, la polizia municipale aveva aperto la propria attività istruttoria, andando ad identificare il trasgressore per poi avviare le attività necessarie alla notifica del verbale di contravvenzione. Particolarmente complesse nella fattispecie, in quanto il verbale era stato a lui notificato dopo ben 180 giorni invece che dopo i 90 previsti dall´ordinamento.
Per giustificare i tempi più lunghi rispetto a quanto previsto dal Codice della Strada, Palazzo Marino aveva fatto riferimento ad "una attività istruttoria complessa", che doveva portare - secondo la singolare tesi fatta valere dell´avvocatura comunale -a "ritenersi congruo il termine intercorso tra il rilevamento automatico dell´infrazione e la notifica del verbale di accertamento, in quanto proporzionato alla quantità di violazioni commesse nei luoghi nei quali il Comune ha predisposto il sistema di rilevamento automatico della velocità dei veicoli in transito". Ma la Cassazione è stata di diverso avviso, confermando in toto la propria giurisprudenza e opponendo un secco no alle tesi del comune milanese.
Per la Cassazione, i 90 giorni possono essere derogati, conformemente a quanto prescritto dall´ordinamento, nelle sole ipotesi in cui sia difficile individuare il proprietario dell´auto, per esempio in situazioni di difficoltà di accertamento addebitabili al trasgressore, come tardiva trascrizione, trasferimento della proprietà del veicolo, omissione di comunicazione del mutamento di residenza. Ma il termine superiore ai 90 giorni non è invocabile se "la difficoltà è connessa all´attività dell´amministrazione, chiamata a gestire un numero elevato di violazioni registrate dai rilevatori di velocità, posto che l´effettività dell´azione dell´amministrazione non può mai realizzarsi attraverso la compressione del diritto di difesa del trasgressore".
Il dictum della SC nel suo iter logico
"In tema di sanzioni amministrative derivanti da infrazione del codice della strada" - infatti premesso il supremo Collegio - "questa Corte regolatrice ha già chiarito che, qualora sia impossibile procedere alla contestazione immediata, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro il termine fissato dall´art. 201 cod. strada (novanta giorni, a seguito della modifica apportata con l´art. 36 della legge n. 120 del 2010, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame), salvo che ricorra l´ipotesi prevista dall´ultima parte del citato art. 201, e cioè che non sia individuabile il luogo dove la notifica deve essere eseguita per mancanza dei relativi dati nel Pubblico registro automobilistico o nell´Archivio nazionale dei veicoli o negli atti dello stato civile (per tutte, Cass. 25/03/2011, n. 6971; Cass. Sez. U. 09/12/2010, n. 24851)".
"La ratio che sorregge l´ipotesi residuale, e giustifica la decorrenza del termine dal momento in cui l´Amministrazione sia posta in condizione di identificare il trasgressore o il suo luogo di residenza, è invocabile" - hanno però aggiunto i giudici - "soltanto in presenza di situazioni di difficoltà di accertamento addebitabili al trasgressore (tardiva trascrizione trasferimento della proprietà del veicolo; omissione di comunicazione del mutamento di residenza), ma non quando, come nella specie, la difficoltà è connessa all´attività dell´Amministrazione, chiamata a gestire un numero elevato di violazioni registrate dai rilevatori di velocità, posto che l´effettività dell´azione dell´Amministrazione non può mai realizzarsi attraverso la compressione del diritto di
difesa del trasgressore;"
La questione, quindi, "attiene al bilanciamento tra le esigenze dell´Amministrazione e il diritto di difesa del trasgressore, ed è stata oggetto a più riprese di interventi della Corte costituzionale; tanto che, hanno ricordato gli "ermellini", "già con la sentenza n. 255 del 1994 il Giudice delle leggi osservò che il termine di notificazione, all´epoca dicentocinquanta giorni, doveva ritenersi «contenuto in limiti tollerabili nel bilanciamento delle contrapposte esigenze, anche se ciò non può significare in futuro una illimitata libertà del legislatore. Questi non potrebbe non tener conto dei profili prospettati nell´ordinanza di rinvio, che avverte le difficoltà cui va certamente incontro il destinatario della contestazione, ai
fini della predisposizione della propria difesa, quanto più remota è la data in cui si è svolto il fatto rispetto alla contestazione stessa. Un ulteriore prolungamento del termine non potrebbe, perciò, non porre dubbi di costituzionalità in termini di ragionevolezza».
Inoltre, ha soggiunto il supremo collegio, "nella stessa pronuncia, si rilevava che «ad eventuali difficoltà di ordine organizzativo, cui finora si è ritenuto di far fronte con il prolungamento dei termini, ben potrebbe ovviarsi con misure tali da assicurare un più equo contemperamento fra le contrapposte esigenze, realizzando cioè, in armonia con l´art. 97 della Costituzione, una migliore efficienza degli uffici amministrativi che oggi è più facile ottenere con l´ausilio dei mezzi offerti dalla più avanzata tecnologia, certamente in grado di soddisfare le esigenze dell´amministrazione, senza creare ulteriori difficoltà ai soggetti destinatari della contestazione».
Ed ancora, con la sentenza n. 198 del 1996, la Corte costituzionale, muovendo nel solco dei principi enunciati dal precedente dictum, ha dichiarato l´illegittimità, perviolazione dell´art. 24 Cost., dell´art. 201, primo comma, del d.lgs. n. 285 del 1992 (Nuovo codice della strada), «nella parte in cui, nell´ipotesi di identificazione dell´effettivo trasgressore o degli altri responsabili avvenuta successivamente alla commissione della violazione, fa decorrere il termine di centocinquanta giorni per la notifica della contestazione dalla data dell´avvenuta identificazione, anziché dalla data in cui risultino dai pubblici registri l´intestazione o le altre qualifiche dei soggetti responsabili o comunque dalla data in cui la pubblica amministrazione è posta in grado di provvedere alla
loro identificazione».
Sulla scorta dei principi richiamati, tenuto conto della evoluzione dei sistemi di rilevamento dei dati utilizzabili ai fini della identificazione del trasgressore e del luogo utile per lanotifica, il legislatore del 2010 ha quindi ridotto il termine da centocinquanta a novanta giorni, così attuando un ragionevole bilanciamento tra opposte esigenze di rango costituzionale (artt. 97 e 24 Cost.), e la giurisprudenza di questa Corte" - hanno concluso i giudici di legittimità - "è pervenuta all´interpretazione dell´art. 201 cod. strada già richiamata, a cui va dato seguito".
Da qui il rigetto del ricorso con la condanna del Comune di Milano al pagamento delle spese di lite, quantificate in €700.