Lo ha stabilito con Sentenza 8/3/2016 la Corte Europea dei Diritti dell´Uomo, pronunciandosi sul ricorso contro l´Italia n. 19424/08.
Sintetizziamo i fatti.
Nel 2008 il ricorrente citò il Senato, la Camera dei Deputati, la commissione parlamentare, il Ministro della Giustizia nonché l´editore e il direttore del quotidiano Calabria Ora a comparire dinanzi al tribunale di Roma. Il ricorrente affermò che L., durante la sua audizione dinanzi alla commissione parlamentare, aveva fornito informazioni false o non suffragate da sufficienti elementi di prova per quanto riguardava i presunti collegamenti che le imprese del ricorrente avevano con la mafia. Nonostante il fatto che l´audizione di L. sarebbe stata in parte coperta dal segreto, la commissione parlamentare aveva successivamente inserito tali informazioni nella sua relazione, il cui contenuto era stato ripreso dalla stampa, in particolare dal quotidiano Calabria Ora. Secondo il ricorrente, ciò aveva offuscato la sua reputazione e quella delle sue imprese sospettate di riciclare il denaro delle organizzazioni criminali radicate in Calabria. Pertanto, l´interessato chiedeva il risarcimento dei danni subiti, che egli stimava in 200 milioni di euro (EUR).
Con sentenza del 5 novembre 2012, depositata il 13 novembre 2012, il tribunale respinse il ricorso del ricorrente.
Il tribunale osservò anzitutto che nella sentenza n. 231 del 1975 la Corte costituzionale aveva precisato che il compito delle commissioni parlamentari di inchiesta non era di «giudicare» e/o di accertare reati ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l´esercizio delle funzioni del Parlamento. Le relazioni delle commissioni parlamentari non producevano alcuna modificazione giuridica e avevano una finalità meramente politica. Le persone interrogate da una commissione parlamentare non avevano lo status di «testimoni», e si limitavano a fornire informazioni, compresi anche stati d´animo e convincimenti diffusi. Quando le decisioni o le attività di una commissione parlamentare realizzavano un´ingerenza nel diritto alla difesa, garantito dall´articolo 24 della Costituzione, era necessario stabilire se tale diritto avesse incontrato determinati limiti necessari a contemperarne la tutela spettante pure ad altri interessi o se detti limiti non fossero di entità tale da comprometterne l´esercizio.
Il tribunale osservò che la Corte di cassazione (si veda, in particolare, la sentenza delle Sezioni Unite del 12 marzo 1983) aveva successivamente dichiarato che gli interessi dei terzi coinvolti dalle attività di una commissione parlamentare avevano rilievo giuridico. Qualsiasi sindacato giurisdizionale sugli atti di queste commissioni restava escluso, ma, in caso di illegittimità di tali atti, era possibile far valere la responsabilità, penale o civile, dei membri delle commissioni. Secondo il tribunale, la Corte di cassazione aveva in tal modo previsto la facoltà, per i terzi, di proporre un´azione di risarcimento danni. Questa azione, tuttavia, doveva riguardare le modalità concrete, e asseritamente illegittime, dell´esercizio dei poteri d´indagine della commissione parlamentare. Per contro, nessuna responsabilità poteva essere imputata ai membri della commissione parlamentare per i voti che questi ultimi avevano espresso. Infatti, ai sensi dell´articolo 68 comma 1 della Costituzione, i membri del Parlamento non potevano «essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell´esercizio delle loro funzioni».
Ne conseguiva che al ricorrente non era consentito chiedere un risarcimento danni per ciò che era contenuto nella relazione della commissione parlamentare, che non poteva essere censurata dai giudici ordinari. Le deliberazioni che avevano portato all´adozione di tale documento erano infatti previste dai regolamenti parlamentari e facevano parte di una delle attività tipiche dei deputati e dei senatori. Il tribunale aggiunse che questa interpretazione era confermata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 379 del 1996, di cui citò lunghi estratti.
Il tribunale ritenne inoltre di non essere competente a pronunciarsi sull´eventuale divulgazione del contenuto di una riunione a porte chiuse, in quanto la decisione di derogare alla regola della pubblicità delle sedute parlamentari era di natura politica. Gli articoli apparsi sul giornale Calabria Ora non erano che una manifestazione del diritto di cronaca: essi si limitavano a descrivere lo svolgimento di una riunione e a riportare una parte della relazione della commissione parlamentare. Precisavano, inoltre, che si trattava di «ipotesi tutte da verificare», e vi era senza dubbio un interesse pubblico alla divulgazione delle informazioni in questione.
Infine, il tribunale osservò che l´audizione da parte di una commissione parlamentare non faceva parte delle attività amministrative di un magistrato. Pertanto, il Ministero della Giustizia non era responsabile delle dichiarazioni rilasciate da L. dinanzi alla commissione parlamentare. Se il ricorrente riteneva che L. avesse commesso atti illeciti, avrebbe dovuto avviare un´azione direttamente contro il magistrato in questione.
Il ricorrente interpose appello avverso la sentenza del 5 novembre 2012. Secondo le informazioni fornite dal Governo il 13 gennaio 2016, l´udienza dinanzi alla corte d´appello di Roma fu fissata al 13 novembre 2016.
la Corte non ritiene necessario affrontare la questione se essa debba trarre dal comportamento del ricorrente la conclusione che il suo ricorso è abusivo, in quanto le dichiarazioni dell´interessato sono comunque irricevibili per i motivi che seguono.
La decisione della CEDU
La Corte ha ricordato che, ai sensi dell´articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita soltanto dopo l´esaurimento delle vie di ricorso interne. La finalità di tale regola è quella di consentire agli Stati contraenti la possibilità di prevenire o di correggere le violazioni lamentate nei loro confronti prima che la Corte venga adita.
I principi generali relativi alla regola dell´esaurimento delle vie di ricorso interne si trovano esposti nella sentenza Vuckovic e altri c. Serbia ([GC], nn. 17153/11 e altri, §§ 69-77, 25 marzo 2014). La Corte ha ricordato che l´articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive l´esaurimento dei soli ricorsi che siano relativi alle violazioni contestate, disponibili e adeguati. Un ricorso è effettivo quando è disponibile sia in teoria che in pratica all´epoca dei fatti, ossia quando è accessibile, può offrire al ricorrente la riparazione delle violazioni da lui dedotte e presenta ragionevoli prospettive di successo (Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV; Demopoulos e altri c. Turchia (dec.) [GC], nn. 46113/99, 3843/02, 13751/02, 13466/03, 10200/04, 14163/04, 19993/04 e 21819/04, § 70, CEDU 2010).
Per quanto concerne l´argomento del ricorrente secondo il quale la causa pendente dinanzi alla corte d´appello di Roma non riguarderebbe l´oggetto del presente ricorso, la Corte ha rilevato che nella sua azione civile di risarcimento danni, rivolta, tra l´altro, nei confronti della commissione parlamentare, della Camera dei Deputati, del Senato e del quotidiano Calabria Ora, l´interessato aveva sostenuto che le informazioni fornite da L. durante le sedute a porte chiuse erano false o non debitamente provate, che il contenuto delle riunioni era coperto dal segreto e che la divulgazione delle informazioni controverse nella relazione della commissione parlamentare e sulla stampa aveva offuscato la sua reputazione e quella delle sue imprese.
Tali asserzioni coincidono in ampia misura con la doglianza sollevata dinanzi alla Corte, riguardante la asserita lesione che la divulgazione sulla stampa dei verbali delle riunioni della commissione parlamentare del 4 dicembre 2007 e del 5 febbraio 2008 avrebbe arrecato al diritto al rispetto della vita privata e familiare del ricorrente (paragrafo 26, supra). A questo proposito, occorre rammentare che il diritto alla tutela della reputazione è un diritto che rientra, in quanto elemento della vita privata, nell´ambito di applicazione dell´articolo 8 della Convenzione (Polanco Torres e Movilla Polanco c. Spagna, n. 34147/06, § 40, 21 settembre 2010, e Axel Springer AG c. Germania [GC], n. 39954/08, § 83, 7 febbraio 2012) In queste circostanze, la Corte non ha quindi condiviso l´argomento dell´interessato secondo cui vi sarebbe una differenza tra l´oggetto dei procedimenti interni e quello dei procedimenti europei. Giunge quindi alla conclusione che il ricorso proposto dinanzi al tribunale di Roma era relativo alla violazione contestata.
La Corte ha osservato poi che il ricorrente ha adito le autorità giudiziarie civili con un ricorso per risarcimento danni. Nell´ambito dell´esame di tale ricorso, i giudici italiani sono chiamati a valutare se la condotta della commissione parlamentare e/o del quotidiano Calabria Ora sia stata illegittima e/o colpevole, se abbia leso i diritti del ricorrente e se sia dovuto a quest´ultimo un risarcimento pecuniario. Il ricorso intentato dall´interessato, ha quindi concluso, può quindi offrire a quest´ultimo la riparazione per il suo danno. Del resto, il ricorrente, esercitando un´azione di risarcimento danni, ha dimostrato che riteneva di disporre a priori, contrariamente alle sue affermazioni, di un ricorso efficace.
Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ha ritenuto che il ricorrente abbia tentato, a livello interno, un ricorso che appare effettivo. Il procedimento relativo a tale ricorso è attualmente pendente in appello e, secondo le informazioni fornite dal Governo, la prossima udienza è stata fissata per il 13 novembre 2016. Qualsiasi doglianza del ricorrente relativa alla asserita lesione alla sua reputazione a causa della divulgazione delle informazioni contenute nel verbale delle sedute della commissione parlamentare del 4 dicembre 2007 e del 5 febbraio 2008 è pertanto prematura.
Il ricorso è stato quindi rigettato per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell´articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
Sentenza allegata
Sintetizziamo i fatti.
Nel 2008 il ricorrente citò il Senato, la Camera dei Deputati, la commissione parlamentare, il Ministro della Giustizia nonché l´editore e il direttore del quotidiano Calabria Ora a comparire dinanzi al tribunale di Roma. Il ricorrente affermò che L., durante la sua audizione dinanzi alla commissione parlamentare, aveva fornito informazioni false o non suffragate da sufficienti elementi di prova per quanto riguardava i presunti collegamenti che le imprese del ricorrente avevano con la mafia. Nonostante il fatto che l´audizione di L. sarebbe stata in parte coperta dal segreto, la commissione parlamentare aveva successivamente inserito tali informazioni nella sua relazione, il cui contenuto era stato ripreso dalla stampa, in particolare dal quotidiano Calabria Ora. Secondo il ricorrente, ciò aveva offuscato la sua reputazione e quella delle sue imprese sospettate di riciclare il denaro delle organizzazioni criminali radicate in Calabria. Pertanto, l´interessato chiedeva il risarcimento dei danni subiti, che egli stimava in 200 milioni di euro (EUR).
Con sentenza del 5 novembre 2012, depositata il 13 novembre 2012, il tribunale respinse il ricorso del ricorrente.
Il tribunale osservò anzitutto che nella sentenza n. 231 del 1975 la Corte costituzionale aveva precisato che il compito delle commissioni parlamentari di inchiesta non era di «giudicare» e/o di accertare reati ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l´esercizio delle funzioni del Parlamento. Le relazioni delle commissioni parlamentari non producevano alcuna modificazione giuridica e avevano una finalità meramente politica. Le persone interrogate da una commissione parlamentare non avevano lo status di «testimoni», e si limitavano a fornire informazioni, compresi anche stati d´animo e convincimenti diffusi. Quando le decisioni o le attività di una commissione parlamentare realizzavano un´ingerenza nel diritto alla difesa, garantito dall´articolo 24 della Costituzione, era necessario stabilire se tale diritto avesse incontrato determinati limiti necessari a contemperarne la tutela spettante pure ad altri interessi o se detti limiti non fossero di entità tale da comprometterne l´esercizio.
Il tribunale osservò che la Corte di cassazione (si veda, in particolare, la sentenza delle Sezioni Unite del 12 marzo 1983) aveva successivamente dichiarato che gli interessi dei terzi coinvolti dalle attività di una commissione parlamentare avevano rilievo giuridico. Qualsiasi sindacato giurisdizionale sugli atti di queste commissioni restava escluso, ma, in caso di illegittimità di tali atti, era possibile far valere la responsabilità, penale o civile, dei membri delle commissioni. Secondo il tribunale, la Corte di cassazione aveva in tal modo previsto la facoltà, per i terzi, di proporre un´azione di risarcimento danni. Questa azione, tuttavia, doveva riguardare le modalità concrete, e asseritamente illegittime, dell´esercizio dei poteri d´indagine della commissione parlamentare. Per contro, nessuna responsabilità poteva essere imputata ai membri della commissione parlamentare per i voti che questi ultimi avevano espresso. Infatti, ai sensi dell´articolo 68 comma 1 della Costituzione, i membri del Parlamento non potevano «essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell´esercizio delle loro funzioni».
Ne conseguiva che al ricorrente non era consentito chiedere un risarcimento danni per ciò che era contenuto nella relazione della commissione parlamentare, che non poteva essere censurata dai giudici ordinari. Le deliberazioni che avevano portato all´adozione di tale documento erano infatti previste dai regolamenti parlamentari e facevano parte di una delle attività tipiche dei deputati e dei senatori. Il tribunale aggiunse che questa interpretazione era confermata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 379 del 1996, di cui citò lunghi estratti.
Il tribunale ritenne inoltre di non essere competente a pronunciarsi sull´eventuale divulgazione del contenuto di una riunione a porte chiuse, in quanto la decisione di derogare alla regola della pubblicità delle sedute parlamentari era di natura politica. Gli articoli apparsi sul giornale Calabria Ora non erano che una manifestazione del diritto di cronaca: essi si limitavano a descrivere lo svolgimento di una riunione e a riportare una parte della relazione della commissione parlamentare. Precisavano, inoltre, che si trattava di «ipotesi tutte da verificare», e vi era senza dubbio un interesse pubblico alla divulgazione delle informazioni in questione.
Infine, il tribunale osservò che l´audizione da parte di una commissione parlamentare non faceva parte delle attività amministrative di un magistrato. Pertanto, il Ministero della Giustizia non era responsabile delle dichiarazioni rilasciate da L. dinanzi alla commissione parlamentare. Se il ricorrente riteneva che L. avesse commesso atti illeciti, avrebbe dovuto avviare un´azione direttamente contro il magistrato in questione.
Il ricorrente interpose appello avverso la sentenza del 5 novembre 2012. Secondo le informazioni fornite dal Governo il 13 gennaio 2016, l´udienza dinanzi alla corte d´appello di Roma fu fissata al 13 novembre 2016.
la Corte non ritiene necessario affrontare la questione se essa debba trarre dal comportamento del ricorrente la conclusione che il suo ricorso è abusivo, in quanto le dichiarazioni dell´interessato sono comunque irricevibili per i motivi che seguono.
La decisione della CEDU
La Corte ha ricordato che, ai sensi dell´articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita soltanto dopo l´esaurimento delle vie di ricorso interne. La finalità di tale regola è quella di consentire agli Stati contraenti la possibilità di prevenire o di correggere le violazioni lamentate nei loro confronti prima che la Corte venga adita.
I principi generali relativi alla regola dell´esaurimento delle vie di ricorso interne si trovano esposti nella sentenza Vuckovic e altri c. Serbia ([GC], nn. 17153/11 e altri, §§ 69-77, 25 marzo 2014). La Corte ha ricordato che l´articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive l´esaurimento dei soli ricorsi che siano relativi alle violazioni contestate, disponibili e adeguati. Un ricorso è effettivo quando è disponibile sia in teoria che in pratica all´epoca dei fatti, ossia quando è accessibile, può offrire al ricorrente la riparazione delle violazioni da lui dedotte e presenta ragionevoli prospettive di successo (Akdivar e altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 68, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV; Demopoulos e altri c. Turchia (dec.) [GC], nn. 46113/99, 3843/02, 13751/02, 13466/03, 10200/04, 14163/04, 19993/04 e 21819/04, § 70, CEDU 2010).
Per quanto concerne l´argomento del ricorrente secondo il quale la causa pendente dinanzi alla corte d´appello di Roma non riguarderebbe l´oggetto del presente ricorso, la Corte ha rilevato che nella sua azione civile di risarcimento danni, rivolta, tra l´altro, nei confronti della commissione parlamentare, della Camera dei Deputati, del Senato e del quotidiano Calabria Ora, l´interessato aveva sostenuto che le informazioni fornite da L. durante le sedute a porte chiuse erano false o non debitamente provate, che il contenuto delle riunioni era coperto dal segreto e che la divulgazione delle informazioni controverse nella relazione della commissione parlamentare e sulla stampa aveva offuscato la sua reputazione e quella delle sue imprese.
Tali asserzioni coincidono in ampia misura con la doglianza sollevata dinanzi alla Corte, riguardante la asserita lesione che la divulgazione sulla stampa dei verbali delle riunioni della commissione parlamentare del 4 dicembre 2007 e del 5 febbraio 2008 avrebbe arrecato al diritto al rispetto della vita privata e familiare del ricorrente (paragrafo 26, supra). A questo proposito, occorre rammentare che il diritto alla tutela della reputazione è un diritto che rientra, in quanto elemento della vita privata, nell´ambito di applicazione dell´articolo 8 della Convenzione (Polanco Torres e Movilla Polanco c. Spagna, n. 34147/06, § 40, 21 settembre 2010, e Axel Springer AG c. Germania [GC], n. 39954/08, § 83, 7 febbraio 2012) In queste circostanze, la Corte non ha quindi condiviso l´argomento dell´interessato secondo cui vi sarebbe una differenza tra l´oggetto dei procedimenti interni e quello dei procedimenti europei. Giunge quindi alla conclusione che il ricorso proposto dinanzi al tribunale di Roma era relativo alla violazione contestata.
La Corte ha osservato poi che il ricorrente ha adito le autorità giudiziarie civili con un ricorso per risarcimento danni. Nell´ambito dell´esame di tale ricorso, i giudici italiani sono chiamati a valutare se la condotta della commissione parlamentare e/o del quotidiano Calabria Ora sia stata illegittima e/o colpevole, se abbia leso i diritti del ricorrente e se sia dovuto a quest´ultimo un risarcimento pecuniario. Il ricorso intentato dall´interessato, ha quindi concluso, può quindi offrire a quest´ultimo la riparazione per il suo danno. Del resto, il ricorrente, esercitando un´azione di risarcimento danni, ha dimostrato che riteneva di disporre a priori, contrariamente alle sue affermazioni, di un ricorso efficace.
Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ha ritenuto che il ricorrente abbia tentato, a livello interno, un ricorso che appare effettivo. Il procedimento relativo a tale ricorso è attualmente pendente in appello e, secondo le informazioni fornite dal Governo, la prossima udienza è stata fissata per il 13 novembre 2016. Qualsiasi doglianza del ricorrente relativa alla asserita lesione alla sua reputazione a causa della divulgazione delle informazioni contenute nel verbale delle sedute della commissione parlamentare del 4 dicembre 2007 e del 5 febbraio 2008 è pertanto prematura.
Il ricorso è stato quindi rigettato per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell´articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
Sentenza allegata
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