Di Redazione su Lunedì, 16 Ottobre 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Nel calcolare l´entità del danno, occorre sottrarre gli indennizzi? I criteri della Cassazione

Il risarcimento del danno, nel nostro ordinamento, è il rimedio generale contro l´illecito, contrattuale ed extracontrattuale; ed infatti, con la nozione di risarcimento si intende la reintegrazione di un pregiudizio subito dal danneggiato quale conseguenza di un comportamento antigiuridico di altro soggetto.
Nel definire il perimetro applicativo del risarcimento, interviene l´art. 1223 c.c. secondo cui si risarciscono solo i danni che sono conseguenza immediata e diretta della condotta; ciò che interessa, in altre parole, è che il patrimonio del danneggiato sia ripristinato allo stesso modo in cui si trovava al momento precedente al fatto illecito.
Ciò è confermato dalle Sezioni Unite dell´11 novembre 2008 secondo cui il danno risarcibile, oltre ad essere quello che supera una certa soglia di tollerabilità, è solo il danno-conseguenza, accogliendo la differenza tra danno-evento e danno-conseguenza.

Nella responsabilità civile, al rapporto di causalità che lega fatto ed evento, che si definisce causalità materiale, se ne affianca un altro definito "causalità giuridica" che lega l´evento alle conseguenze pregiudizievoli patite.
Mentre nel diritto penale è necessario che il rapporto di causalità sia accertato oltre ogni ragionevole dubbio, il rapporto di causalità civile che lega la condotta all´evento si ispira alla regola probatoria del più probabile che non, perché la logica del diritto civile non è punire il danneggiante ma è che il danno non resti a carico del danneggiato.
A questo primo momento del rapporto di causalità – materiale – si lega il secondo momento che è il rapporto di causalità giuridica, ovvero il riflesso dell´art. 1223 cc. , in virtù del quale sono risarcibili tutte le conseguenze pregiudizievoli immediate e dirette di quella condotta.
Riemerge, nuovamente, la funzione compensativa della responsabilità perché, risarcendo solo i danni che concretamente si sono realizzati, va a compensare un pregiudizio concretamente ed effettivamente patito.
Proprio la consapevolezza che il danno vada risarcito in maniera integrale ed effettiva ha indotto una parte degli interpreti, nonché parte della giurisprudenza, a chiedersi se nel computo del danno patito sia necessario calcolare le eventuali somme che il danneggiato ha ricevuto a titolo di indennizzo in conseguenza dell´illecito. Il caso classico è la pensione di reversibilità ovvero le indennità che l´Inps o l´Inail riconoscono in caso di danno biologico.
Le alternative prospettate sono due: la teoria della cumulabilità e la teoria dello scomputo: la prima prevede un cumulo del risarcimento del danno e dell´indennizzo; la seconda prevede una "sottrazione" dell´indennizzo dal danno patito.
Accogliendo la teoria della cumulabilità, il danneggiato avrà più di quello che ha subito, mentre la teoria dello scomputo si presenta perfettamente in linea con la funzione compensativa della responsabilità civile.
Ciò nonostante, tale teoria, che va sotto il nome di compensatio lucri cum damno è stata molto contestata.
Da secoli, intorno a questo istituto sono state date le soluzioni più disparate sia nei presupposti teorici che negli effetti pratici. Nell´ordinanza di rimessione alle Sezioni unite del 22 giugno 2017, la Corte di Cassazione definisce la compensatio come "un´illusione ottica" in quanto l´istituto ha solo la denominazione, ma non ha nulla a che fare con la vera compensazione. Quest´ultima, infatti, è una modalità di estinzione dell´obbligazione in cui vi sono due reciproci rapporti autonomi di credito e debito; al contrario, nella compensatio lucri cum damno non c´è questa autonomia e questa reciprocità di rapporti.
Il primo problema, dunque, è quello di individuare il fondamento normativo. Secondo alcuni, il fatto di scomputare i benefici ottenuti (a titolo di indennizzo) dal danno patito risponde ad una esigenza di equità, pertanto si ritiene che la compensatio trovi il suo fondamento nell´ingiustificato arricchimento ex art. 2041 cc.
Questa ricostruzione, però, non è stata accolta né seguita per una ragione molto chiara: la compensatio riguarda spostamenti patrimoniali giustificati perché il danno deriva dall´illecito e l´indennizzo è previsto dalla legge, pertanto il 2041 cc. non può trovare applicazione.
La ratio della compensatio è sostanzialmente quella di correggere le storture che derivano da un´applicazione rigorosa dei principi in tema di responsabilità civile. Sulla base di questo, l´orientamento maggioritario ritiene che la compensatio abbia il suo fondamento giuridico nell´art. 1223 cc. secondo cui si risarciscono solo i danni che siano conseguenza diretta e immediata del fatto illecito e , quindi, se dal fatto derivano anche benefici, questi devono essere presi in considerazione.
In altre parole, la compensatio è la regola speculare dell´art. 1223 cc nel senso che come si risarciscono i danni che sono conseguenza diretta e immediata dell´illecito, allo stesso modo si devono scomputare i benefici che ne sono conseguenza diretta e immediata.
In questa prospettiva, la compensatio non è nient´altro che una semplificazione della tecnica liquidatoria e un´applicazione del principio di integralità del danno.
Accanto a quest´orientamento che sostiene la teoria dello scomputo, un altro filone giurisprudenziale ha sempre sostenuto la teoria della cumulabilità sulla base del fatto che risarcimento e indennizzo hanno titoli e funzioni differenti, l´uno compensativo, l´altro solidaristico, quindi non è possibile lo scomputo tra figure diverse, ma si deve procedere al cumulo.
Sull´argomento intervengono due ordinanze, una del Consiglio di Stato del 6 giugno 2017 e l´altra della Corte di Cassazione del 22 giugno 2017 che rimettono la questione rispettivamente all´Adunanza Plenaria e alle Sezioni Unite.
La Corte di Cassazione definisce la compensatio come "un´illusione ottica" in quanto l´istituto ha solo la denominazione, ma non ha nulla a che fare con la vera compensazione. Quest´ultima, infatti, è una modalità di estinzione dell´obbligazione in cui vi sono due reciproci rapporti autonomi di credito e debito; al contrario, nella compensatio lucri cum damno non c´è questa autonomia e questa reciprocità di rapporti.
In sintesi, sia la Corte di Cassazione che il Consiglio di Stato tendono verso la soluzione dello scomputo perche, al contrario, il cumulo comporterebbe il richio dell´ over compensatio.
Il Consiglio di Stato riconosce la compensatio perché è un istituto che tende a stabilire natura e confini del danno risarcibile; essa serve ad identificare il perimetro applicativo della responsabilità civile e ad evidenziare la rilevanza giuridica dell´evento materiale di danno. Dunque, proprio perché il nostro sistema rifugge da intenti sanzionatori e punitivi, bisogna applicare lo scomputo.
Secondo la Corte di Cassazione, sulla stessa linea, bisogna valutare il patrimonio del danneggiato prima (100) e dopo il fatto illecito (50), aggiungere ciò che è stato percepito a titolo di indennizzo (20) per poi liquidare il risarcimento del danno per ripristinare il patrimonio (30).
Se invece si tende per il cumulo delle somme si tende sostanzialmente ad un sistema punitivo.
La questione è comunque rimessa ai giudici supremi, con la sensazione che ci siano altissime possibilità che la teoria dello scomputo sia pienamente accolta dall´Adunanza Plenaria e dalle Sezioni Unite.
Rosaria Panariello

Rosaria Panariello, autrice di questo articolo si è diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le professioni legali dell´Università di Salerno e precedentemente ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza con tesi in diritto fallimentare.

Da un punto di vista professionale, ha svolto la pratica forense.
Successivamente ha lavorato presso l´ufficio Avvocatura del Comune di Scafati.
Dopo aver conseguito l´abilitazione di avvocato, si è dedicata alla professione legale in maniera autonoma ed indipendente, continuando anche a studiare per il concorso in Magistratura.