Su questa problematica si è espressa la sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15643/16, depositata il 27 luglio, definendo in sede di legittimità la causa introdotta, originariamente, da un cittadino che aveva convenuto in giudizio il Ministero dell´Economia e delle Finanze per vedersi riconosciuto il pagamento dei danni morali derivanti dalla irragionevole durata del procedimento giudiziario finalizzato al riconoscimento di pensione privilegiata a suo favore.
Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 89 del 2001, nonché degli arti 24 e 101 Cost. e degli artt. 6, 13 e 41 della CFDU, oltre a vizio di motivazione, per non avere la corte di merito tenuto conto, rigettando la sua domanda, che il diritto all´equa riparazione non era subordinato alla fondatezza delle pretese o delle eccezioni sollevate nel processo presupposto che aveva avuto durata irragionevole.
Nella giurisprudenza della Suprema Corte, ha premesso la Sezione, il diritto all´equa riparazione è escluso per ragioni di carattere soggettivo:
a) nel caso di lite temeraria (v. fra le tante, Cass. n. 28592 del 2011; Cass. n. 10500 del 2011 e Cass. n. 18780 del 2010), cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto o sulla base di una prete sa di puro azzardo;
b) nell´ipotesi di causa abusiva (cfr. tra le tante, Cass. n. 7326 del 2015; Cass. n. 5299 del 2015; Cass. n. 23373 del 2014), che ricorre allorché lo strumento processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti della mera pendenza della lite;
c) in tutte le ipotesi in cui la specifica situazione processuale del giudizio di riferimento dimostri in positivo, per qualunque ragione, come la parte privata non abbia patito quell´effettivo e concreto pregiudizio d´indole morale, che è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo .
Pur precisando che nella specie non trovava applicazione lo jus superveniens post riforma L. n. 89/2001 (e ciò, ragione temporis), la Corte ha rilevato come i suoi indirizzi si erano consolidati nel senso che solo se qualificata dal requisito ulteriore di temerarietà o di abusività la domanda manifestamente infondata avrebbe potuto ostare al riconoscimento di un´equa riparazione.
La Corte di merito, ha rilevato la Sezione, si era invece erratamente allontanata da questi principi, estendendo (in difetto di un adeguata previsione normativa o di orientamento giurisprudenziale) il divieto d´indennizzo all´ipotesi di manifesta infondatezza della domanda.
Dalla mancata copertura legislativa, l´errore del giudice di II grado, con la conseguente cassazione del decreto.
Sentenza allegata
Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 89 del 2001, nonché degli arti 24 e 101 Cost. e degli artt. 6, 13 e 41 della CFDU, oltre a vizio di motivazione, per non avere la corte di merito tenuto conto, rigettando la sua domanda, che il diritto all´equa riparazione non era subordinato alla fondatezza delle pretese o delle eccezioni sollevate nel processo presupposto che aveva avuto durata irragionevole.
Nella giurisprudenza della Suprema Corte, ha premesso la Sezione, il diritto all´equa riparazione è escluso per ragioni di carattere soggettivo:
a) nel caso di lite temeraria (v. fra le tante, Cass. n. 28592 del 2011; Cass. n. 10500 del 2011 e Cass. n. 18780 del 2010), cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto o sulla base di una prete sa di puro azzardo;
b) nell´ipotesi di causa abusiva (cfr. tra le tante, Cass. n. 7326 del 2015; Cass. n. 5299 del 2015; Cass. n. 23373 del 2014), che ricorre allorché lo strumento processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti della mera pendenza della lite;
c) in tutte le ipotesi in cui la specifica situazione processuale del giudizio di riferimento dimostri in positivo, per qualunque ragione, come la parte privata non abbia patito quell´effettivo e concreto pregiudizio d´indole morale, che è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo .
Pur precisando che nella specie non trovava applicazione lo jus superveniens post riforma L. n. 89/2001 (e ciò, ragione temporis), la Corte ha rilevato come i suoi indirizzi si erano consolidati nel senso che solo se qualificata dal requisito ulteriore di temerarietà o di abusività la domanda manifestamente infondata avrebbe potuto ostare al riconoscimento di un´equa riparazione.
La Corte di merito, ha rilevato la Sezione, si era invece erratamente allontanata da questi principi, estendendo (in difetto di un adeguata previsione normativa o di orientamento giurisprudenziale) il divieto d´indennizzo all´ipotesi di manifesta infondatezza della domanda.
Dalla mancata copertura legislativa, l´errore del giudice di II grado, con la conseguente cassazione del decreto.
Sentenza allegata
Documenti allegati
Dimensione: 15,11 KB