Di Redazione su Sabato, 14 Maggio 2016
Categoria: Giurisprudenza Comunitaria

Intercettazioni penali e diritto a privacy, Corte Europea Diritti Umani: compatibili con Convenzione

Lo ha stabilito la Corte Europea Diritti dell´Uomo (CEDU) con Decisione 23 febbraio 2016, resa su ricorso n. 28819/12.
Ricostruiamo i fatti.
Il ricorrente, cittadino italiano, aveva chiesto, in primo grado, di essere giudicato con il giudizio abbreviato, rito semplificato che, in caso di condanna, prevede una riduzione della pena, basato sull´ipotesi che la causa possa essere decisa allo stato degli atti nel corso dell´udienza preliminare.
Con sentenza del 1° dicembre 2008, depositata il 31 dicembre 2008, il GIP di Roma lo aveva condannato a sedici anni di reclusione. Questa decisione si era fondata in misura determinante sul contenuto delle intercettazioni telefoniche, di cui il GIP aveva citato lunghi estratti, interpretandoli alla luce degli altri elementi contenuti nel fascicolo.
Il ricorrente aveva quindi interposto appello, ribadendo quanto già dichiarato in merito alla illegalità delle intercettazioni telefoniche.
Con sentenza del 18 maggio 2010, depositata il 30 luglio 2010, la corte d´appello di Roma lo aveva prosciolto dall´imputazione di associazione per delinquere perché il fatto non sussisteva, confermando la condanna del ricorrente per molti episodi di traffico di stupefacenti e riducendo la pena che gli era stata inflitta a dodici anni di reclusione e 50.000 euro di multa.
Con sentenza del 26 ottobre 2011, depositata l´11 novembre 2011, la Corte di Cassazione, ritenendo che la corte d´appello avesse motivato in maniera logica e corretta tutti i punti controversi, aveva respinto il ricorso del ricorrente.
La Corte di cassazione aveva osservato, in Sentenza, dichiarando infondata la sua censura, che l´uso delle intercettazioni telefoniche era vietato soltanto in caso di violazione delle norme previste dagli articoli 267 e 268, commi 1 e 3, del CPP. Le altre irregolarità formali davano luogo a una semplice inutilizzabilità. Inoltre, la dichiarazione che una prova non potesse essere utilizzata, resa, come nel caso di specie, nell´ambito del procedimento incidentale de libertate non vincolava il giudice di merito.
Da qui il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell´Uomo del ricorrente, motivato dall´assunto per cui le intercettazioni telefoniche effettuate nell´ambito del procedimento penale a suo carico avessero violato il diritto al rispetto della sua vita privata, come garantito dall´articolo 8 della Convenzione, secondo cui "1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell´esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell´ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui".
La Corte ha ritenuto infondate le doglianze, osservando che, in merito alle comunicazioni transitate unicamente su linee telefoniche estere, il ricorrente non avesse partecipato a queste conversazioni, per cui dal punto di vista dell´articolo 8 della Convenzione, egli non poteva ritenersi «vittima», ai sensi dell´articolo 34 della Convenzione, di qualsiasi presunta illegalità dell´intercettazione di comunicazioni che si sono svolte fra terze persone. In merito alla intercettazione di conversazioni alle quali egli partecipava, la Corte ha rammentato invece che le conversazioni telefoniche e le altre comunicazioni sono comprese nelle nozioni di «vita privata» e di «corrispondenza» ai sensi dell´articolo 8. Tuttavia, ha ritenuto la CEDU, l´ingerenza si prefiggeva di permettere la manifestazione della verità nell´ambito di un procedimento penale tendendo dunque alla difesa dell´ordine. Inoltre il ricorrente aveva beneficiato di un «controllo efficace» delle intercettazioni di cui era stato oggetto. In effetti egli aveva potuto contestare sia la legalità che la giustificazione delle intercettazioni dinanzi alla sezione riesame, dinanzi ai giudici di merito, ossia il GIP e la corte d´appello di Roma, e dinanzi alla Corte di cassazione. Tutte questi organi giudiziari avevano esaminato in dettaglio le affermazioni dell´interessato alla luce della legge e della giurisprudenza interne pertinenti. Censura quindi infondata.
Esaminando infine l´ultima censura, sulla violazione dell´art. 6 della Convenzione (per cui "Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (...) il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (...)", la Corte l´ha parimenti ritenuta infondata, in quanto la corte d´appello di Roma aveva ritenuto che, nonostante il giudice di primo grado avesse menzionato alcuni estratti di queste conversazioni, la condanna del ricorrente non poteva essere considerata «fondata» su questi ultimi (paragrafo 19 supra). Inoltre, al ricorrente era stata offerta la possibilità di contestare le registrazioni in causa e di opporsi al loro utilizzo dinanzi alla sezione riesame e alla corte d´appello di Roma, nonché dinanzi alla Corte di cassazione.
Sentenza allegata