Di Redazione su Lunedì, 09 Aprile 2018
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Cassazione, inammissibile l´atto processuale sandwich: "copia incolla fatti e motivi non consente al giudice una comprensione piena"

Una deprecabile abitudine che, soprattutto quando manca il tempo e i termini sono prossimi alla scadenza, per un legale poco accorto rischia di diventare la regola. È quella duramente sanzionata, nella fattispecie con una pronuncia di inammissibilità di un ricorso, dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n 8245/2018, depositata il 4 aprile, con la quale è stato dichiarato per l´appunto inammissibile il ricorso cosiddetto sandwich "redatto attraverso la tecnica del copia-incolla quasi per intero di atti e documenti, senza che il professionista redigente operi anche in misura minima alcuno sforzo di selezione o di rielaborazione dei loro contenuti.

Un principio, quello affermato dalla Suprema Corte che, secondo l´intendimento dei giudici di legittimità, risponde in ultima analisi al supremo interesse della giustizia. Che è posto a rischio nel momento in cui proprio il costrutto del ricorso o degli atti difensivi in generale non consente a chi deve giudicare una chiara percezione della ricostruzione dei fatti e delle vicende processuali, come anche delle ragioni di diritto il nome delle quali viene richiesta la decisione del giudice.

La pronuncia della Suprema Corte ha tratto origine dalla richiesta con cui il controricorrente, di fronte ad un ricorso sandwich della parte ricorrente, ha eccepito l´inammissibilità del ricorso per
cassazione, per come strutturato, in quanto esso si componeva di una successione di atti, «riversati» sul giudice di legittimità, cui in ultima analisi, era demandato il compito di ricercare e sceverare quanto potesse eventualmente avere rilevanza ai fini della decisione.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata l´eccezione.
Premettendo che la tecnica di redazione dei cosiddetti
ricorsi «assemblati» o «farciti» o «sandwich» implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all´interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti, ha concluso che tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso "non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l´intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della
ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le
problematiche della vicenda e comporta non già la completezza
dell´informazione, ma il sostanziale «mascheramento» dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da
risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del
ricorso stesso".

La Corte di cassazione, infatti, "non ha l´onere di provvedere all´indagine ed alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso" e le Sezioni Unite hanno osservato "che il requisito dell´esposizione sommaria dei fatti di causa, previsto dall´art. 366 n. 3 cod. proc. civ., è preordinato allo scopo di agevolare la comprensione
dell´oggetto della pretesa, l´esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (sent. n. 16628 del 2009). Si è inoltre rilevato (ord. n. 19255 del 2010) che l´assolvimento del requisito in questione è considerato dal legislatore
come un´attività di narrazione del difensore che, in ragione
dell´espressa qualificazione della sua modalità espositiva come
sommaria, postula un´esposizione finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del
processo".

Inoltre, hanno continuato i giudici di legittimità, "la pedissequa riproduzione di atti processuali e documenti, ove si assuma che la sentenza impugnata non ne abbia tenuto conto o li abbia mal interpretati, non soddisfa il requisito di cui all´art. 366 n. 3
cod. proc. civ., in quanto costituisce onere del ricorrente operare una
sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena
comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un´attività, consistente nella lettura integrale di atti e documenti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore".

Alla luce delle argomentazioni richiamate, La Corte altro non ha potuto che dichiarare l´inammissibilità del ricorso proposto in quanto "la tecnica espositiva adottata nel ricorso in esame appare inidonea ad integrare il requisito dell´art. 366 n. 3 cod. proc. civ. poiché onera la Corte, per percepire il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale, di procedere
alla lettura degli atti e documenti riprodotti, similmente a quanto
avviene in ipotesi di mero rinvio ad essi, difettando quella sintesi
funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse
alla sentenza impugnata in cui si sostanzia il principio di autosufficienza del ricorso. E non potendo trovare applicazione il principio
espresso da questa Corte, in base al quale la tecnica di redazione
mediante integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce
in un´esposizione dei fatti non sommaria, in violazione dell´art. 366 n.
3 cod. proc. civ., e comporta un mascheramento dei dati
effettivamente rilevanti, tanto da risolversi in un difetto di
autosufficienza, sicché è sanzionabile con l´inammissibilità, a meno
che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto
dall´atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al
principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi
(Cass. n. 18363 del 2015)". Nella specie, hanno infatti constatato i giudici, "il ricorso in esame, invero, si compone di n. 179 pagine, costituite in larga parte dal processo verbale di constatazione (il quale consta di n. 131 pagine e di n. 8 allegati), dalla motivazione della sentenza impugnata e dall´avviso di accertamento. Orbéne, espunti tali atti e
documenti, in quanto facilmente individuabili ed isolabili, il ricorso si
riduce a n. 5 pagine contenenti una breve 61 illustrazione dei due
motivi di ricorso e le conclusioni formulate, precedute da una
estremamente sintetica esposizione dei fatti processuali".