Con l'ordinanza n. 37571 depositata lo scorso 30 novembre, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato il diritto di una donna di percepire l'assegno divorzile per aver assunto maggiori oneri nella conduzione della vita familiare, per la cura delle due figlie, con conseguenti rinunce ad una propria realizzazione lavorativa e ad una propria autonomia economica.
Si è difatti ricordato che "qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due."
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Brescia pronunciava lo scioglimento del matrimonio di una coppia di coniugi, ponendo a carico del marito il pagamento di un assegno divorzile di 1.200 Euro mensili.
La Corte di Appello di Brescia confermava il diritto della donna a percepire l'assegno.
Ricorrendo in Cassazione, l'uomo censurava la decisione della Corte di merito per violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970, per aver il giudice di appello erroneamente confermato la somma dell'assegno divorzile, senza che fossero state adeguatamente valorizzate le situazioni economiche delle parti, nonché la possibilità per l'ex moglie, nata nel 1973, di espletare attività lavorativa.
La Cassazione non condivide le difese formulate dal ricorrente.
I Supremi Giudici ricordano, infatti, che con il noto arresto delle Sezioni Unite del 2018, si è attribuito all'assegno divorzile una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, al fine di consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.
Pertanto, qualora vi sia uno squilibrio effettivo, e di non modesta entità, tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, occorre accertare se tale squilibrio sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due.
Laddove, però, risulti che l'intero patrimonio dell'ex coniuge richiedente sia stato formato, durante il matrimonio, con il solo apporto dei beni dell'altro, si deve ritenere che sia stato già riconosciuto il ruolo endofamiliare dallo stesso svolto e - tenuto conto della composizione, dell'entità e dell'attitudine all'accrescimento di tale patrimonio - sia stato già compensato il sacrificio delle aspettative professionali oltre che realizzata con tali attribuzioni l'esigenza perequativa, per cui non è dovuto, in tali peculiari condizioni, l'assegno di divorzio.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata – uniformandosi alla giurisprudenza richiamata - abbia valorizzato la funzione compensativo-perequativa dell'assegno divorzile con quella assistenziale: si è, difatti, considerato come l'ex moglie non aveva redditi propri e pagava un canone di locazione di 500,00 Euro mensili, mentre il ricorrente percepiva circa 1.900,00 e viveva nella ex casa coniugale.
Inoltre, si è anche tenuto conto della circostanza per cui l'ex marito aveva spontaneamente riconosciuto che la moglie aveva assunto maggiori oneri nella conduzione della vita familiare, per la cura delle due figlie con conseguenti rinunce ad una propria realizzazione lavorativa e ad una propria autonomia economica.
Alla luce di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso.