Di Redazione su Sabato, 24 Febbraio 2018
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Cassazione: docenti "stressati" da preside hanno diritto al risarcimento dei danni, anche senza mobbing

I giudici della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con l´ordinanza n. 3977 del 19 febbraio 2018, hanno stabilito il principio secondo cui è possibile riconoscere al dipendente il risarcimento danni a titolo di stress causato dal comportamento del proprio datore di lavoro - nella fattispecie il preside di un istituto scolastico - anche se la domanda al giudice era stata originariamente proposta per mobbing.

In sostanza i giudici della Corte hanno affermato che in questa ipotesi nel caso in cui non si possa configurare la fattispecie di mobbing, non si incorre nella violazione dell´art. 112 cod. proc. civ., in quanto la decisone impugnata non presenta alcun vizio di ultra o extra petizione.
 



I Fatti
Una docente che era stata dichiarata non idonea a svolgere l´attività didattica, era stata assegnata in segreteria per svolgere servizi amministrativi. La stessa rivolgendosi al dirigente scolastico rappresentava che per poter svolgere al meglio i propri compiti si rendeva necessario ulteriore personale. Il Dirigentenon soddisfava le richieste della docente e così insorgevano diverse incomprensioni e tensioni e per tutta risposta alle rimostranze ricevute il dirigente disponeva di sottrarle gli strumenti di lavoro; attribuendole mansioni didattiche, sia pure in compresenza con altri docenti. Tutto ciò nonostante l´accertata inidoneità; privandola, infine, di ogni mansione e lasciandola totalmente inattiva.

A questo punto la docente promuoveva un giudizio nei confronti del MIUR per il riconoscimento dei danni subiti per il mobbing subito dal dirigente scolastico.
Il Tribunale di Brescia aveva riconosciuto, a seguito dell´espletamento di una CTU, il danno subito dalla ricorrente evidenziando che la condotta, seppure non propriamente mobbizzante, integrava comunque un´ipotesi di straining, ossia di stress forzato inflitto alla dipendente dal superiore gerarchico con un obiettivo discriminatorio.
Avverso tale pronuncia veniva proposta impugnazione avanti la Corte di Appello di Brescia da parte del MIUR, ma la Corte territoriale confermava la sentenza emessa dal giudice di primo grado.
La Corte di Appello infatti escludeva che la diversa qualificazione data alle azioni allegate e provate nel giudizio di primo grado implicasse una violazione del principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto e pronunciato, perché non compete al ricorrente la qualificazione medico-legale della fattispecie ritenuta produttiva di danno risarcibile.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il MIUR denunciando ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell´art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 1218, 2043, 2059, 2087, 2697 cod. civ. in quanto secondo il ricorrente la Corte di Appello non si è limitata a individuare una diversa qualificazione giuridica dei fatti ma «ha creato una nuova fattispecie a cui ha ricollegato in maniera arbitraria ed apodittica conseguenze proprie di altra fattispecie giuridica»;
 
Motivi della decisione
I giudici della Sezione Lavoro della Corte hanno ritenuto tutti i motivi proposti dal Miur assolutamente infondati e a tal fine hanno richiamato le ragioni esposte dalla stessa Sezione con la sentenza n. 3291 del 19 febbraio 2016. Con la citata sentenza , fanno evidenziare i giudici di legittimità ". si è premesso che il vizio di ultra o extra petizione ricorre solo qualora il giudice pronuncia oltre í limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all´oggetto del giudizio e non rilevabili d´ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, non già allorquando venga diversamente qualificata la domanda o vengano poste a fondamento della pronuncia considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate dalle parti;"

Pertanto secondo gli stessi giudici nessuna violazione dell´art. 112 cod. proc. civ. può riscontrarsi nell´impugnata sentenza per il solo fatto che sia stata utilizzata «la nozione medico-legale dello straining anziché quella del mobbing», perché lo straining altro non è che « una forma attenuata di mobbing che laddove abbia causato un danno all´integrità psico-fisica del lavoratore, giustifica la pretesa risarcitoria fondata sull´art. 2087 cod. civ.
I giudici della Sezione Lavoro infine dichiarano di voler dare continuità al principio già pronunciato con la citata sentenza in quanto condividono la posizione adottata da tempo dalla stessa Corte che intende dare un´interpretazione estensiva all´art 2087 del cod. civ. costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 32, 41 e 2 Cost."
 


 
Per tali motivi è stato disposto il rigetto dell´impugnazione
Si allega sentenza
Documenti allegati
Dimensione: 39,76 KB