Con l'ordinanza n. 3426 dello scorso 3 febbraio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha escluso l'addebito di una separazione a una moglie che aveva abbandonato il tetto coniugale a seguito di una crisi familiare già in atto da tempo, caratterizzata dall'esistenza di una forte e persistente tensione tra i coniugi e di un clima di progressiva reciproca disaffezione.
Si è difatti precisato che l'abbandono del tetto coniugale, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto.
Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Venezia che, pronunciandosi sulla separazione personale dei coniugi, respingeva le reciproche domande di addebito.
La Corte d'appello di Venezia, rigettando entrambi i gravami dei coniugi, confermava le statuizioni relative all'addebito.
Difatti, nel corso dell'istruttoria era emerso che l'interruzione della convivenza era stata l'esito di una crisi familiare già in atto da tempo: a seguito del deterioramento dei rapporti tra i coniugi, in epoca anteriore al già menzionato allontanamento, la coppia aveva tentato di procedere con un percorso assistito di mediazione e riconciliazione coniugale, rimasto senza successo a causa dell'esistenza di una forte e persistente tensione tra i coniugi e di un clima di progressiva reciproca disaffezione.
Il marito, ricorrendo in Cassazione, denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 143, 151 e 2697 c.c. in punto di addebitabilità della separazione, dolendosi per non aver la Corte di merito pronunciato la dichiarazione di addebito nei confronti della moglie.
La Cassazione non condivide le tesi difensive del ricorrente.
In punto di diritto la Corte ricorda che, in tema di addebito della separazione, grava sulla parte che richieda l'addebito l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.
In relazione al volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, la giurisprudenza ha ribadito che l'abbandono del tetto coniugale, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte distrettuale, nell'escludere l'addebitabilità della separazione alla moglie, ha rettamente applicato quest'ultimo principio.
Invero, pur dando atto dell'abbandono della casa familiare da parte della moglie, ha posto in risalto una serie di circostanze rimaste incontestate, ritenute idonee a dimostrare che l'interruzione della convivenza aveva in realtà rappresentato l'esito di una crisi familiare già in atto da tempo, caratterizzata dall'esistenza di una forte e persistente tensione tra i coniugi e di un clima di progressiva reciproca disaffezione, sì da determinare l'intervenuto deterioramento dei rapporti tra i coniugi, in epoca anteriore al già menzionato allontanamento.
Di contro il ricorrente, nel censurare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, non è stato in grado di contestare l'accertamento in merito alla esistenza di una forte e persistente tensione tra i coniugi e di un clima di progressiva reciproca disaffezione.
Alla luce di tanto le doglianze prospettate risultano inammissibili in quanto le stesse – risolvendosi nella sollecitazione di un nuovo accertamento di merito sui presupposti della pronuncia di addebito – impongono l'esecuzione di un nuovo accertamento di fatto precluso in sede di legittimità.
Difatti, l'apprezzamento circa la responsabilità di un coniuge nel determinarsi della intollerabilità della convivenza in ragione della violazione dei doveri matrimoniali è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di motivazione congrua e logica.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.