Di Redazione su Lunedì, 24 Luglio 2017
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Yara Gambirasio, cosa farei se fossi l´avvocato di Bossetti?

Se fossi l´avvocato di Massimo Bossetti; se fossi al posto dell´amico Claudio Salvagni, cosa farei? Come preparerei il ricorso in Cassazione? Il racconto del processo dice che è la causa del decennio. Ogni volta la giustizia pop utilizza queste categorie. Però, in effetti, lo può essere, a una condizione e cioè che si abbia il coraggio di affondare il ragionamento sulla vera questione, di fondo, di questo processo. Ed è proprio un tema da Cassazione, cioè di diritto e stretto rispetto della legge.

Non conta più se quel DNA è "bello" o "brutto" (come raccontato dal pm di primo grado in un interessante documentario televisivo) ma conta qualcosa di più "alto" (nel senso di importante) dal punto di vista giuridico: è possibile essere condannati in base a una prova (detta scientifica) e questa è stata assunta, come un atto di fede, a prescindere da ogni tipo di contro-valutazione? Sembra impossibile, nel 2017, quando l´articolo 111 della Costituzione stabilisce, come principio sommo, che nel processo penale la prova si forma nel contraddittorio delle parti, cioè permettendo alla difesa di contestare, valutare e svolgere le proprie riflessioni, non già su un risultato "calato dall´alto" nel processo, ma rispetto alla sua vera e propria formazione.

Si badi: l´importanza storica di questo processo è racchiusa proprio nel mettere un punto fermo su una questione che attanaglia il processo da quando l´indagine tecnica e scientifica è esplosa come la "prova regina" del processo: su tutte la genetica (DNA) e la dattiloscopia (impronte digitali). La polizia svolge i suoi accertamenti, offre i risultati all´accusa e poi il campione viene proiettato nel processo, senza che l´accusato abbia potuto partecipare alla repertazione e all´analisi (come è ovvio, l´investigazione si dirige verso un soggetto specifico proprio dopo queste analisi).

E dopo? Dopo non c´è più nulla da fare, se non leggere le carte dell´accertamento e questo perché il campione biologico o dattiloscopico non è più disponibile; nella quasi totalità dei casi questo è stato completamente utilizzato per i rilievi dell´accusa. A Erba è successa una cosa simile: la traccia di DNA rinvenuta sul battitacco della macchina di Olindo Romano ("immaginata" dai difensori e dal giudice in una foto del medesimo battitacco, con un cerchio rosso, che dice "era qui") non l´ha mai "vista" nessun consulente della difesa. Il codice prevede la partecipazione dell´indagato all´analisi, ma ci deve essere un indagato. E, come detto, assai spesso l´indagato nasce dopo.


Si tratta di forma, è vero. Non conta e non deve più contare nulla se quel DNA, appartenente al futuro indagato o alla vittima, sia perfettamente corrispondente a quello del soggetto di confronto e dunque la sua scientificità sia salva. Il processo è fatto di forma e il diritto è rispetto della forma. Dal Medio Evo sino al 1955 all´indagato non era permesso di essere interrogato alla presenza di un avvocato. Era forma, perché nessuno ha mai sostenuto che, per secoli, durante tutti gli interrogatori, vi sia stata tortura o induzione alla confessione. Ma è stata una svolta da tutti definita epocale: certamente, da allora, davanti al Pubblico Ministero, è stato garantito il rispetto della legge e della sua forma. Banalmente, da allora, l´interrogato ha potuto scegliere se rispondere oppure no alle domande dell´accusa.

Non conta la differenza e cioè che, in un caso si tratti di dichiarazioni e nell´altro di analisi tecniche: ciò che conta è "vedere" cosa succede durante i passaggi processuali decisivi; quelli che stabiliscono, assai spesso, una condanna o un´assoluzione penale. Se, dunque, io fossi nel mio amico Salvagni, chiederei alla Cassazione una sola cosa: è possibile che un accertamento tanto decisivo come la prova del DNA possa essere portata nel processo senza nessun contraddittorio? Neanche d´ufficio? La Cassazione deve solo rispondere: sì o no. E´ legittimo oppure non lo è.

Al di là di DNA nucleare, mitocondriale, richieste di perizie quando non c´è più materiale da analizzare o altro. Chi avrebbe mai pensato che garantire la presenza dell´avvocato all´interrogatorio fosse il minimo delle garanzie? A costo di nominarne uno d´ufficio. Perché non nominare un tecnico d´ufficio? E´ la legge che deve stabilirlo; non la Corte di Cassazione. Ma la corte di Cassazione può dire che l´analisi genetica senza un minimo di contraddittorio, anche senza l´indagato, non è legittima perché viola l´articolo 111 della Costituzione. Trincerarsi, come sempre, dietro al baluardo della "irripetibilità sopravvenuta" dell´atto regge fino a quando non si scopre che c´è stata qualche magagna. E allora, come nel caso dell´interrogatorio del sospettato, si deciderà che ci vuole una garanzia, almeno d´ufficio.
*Scritto da Luca D´Auria e pubblicato sul Fatto Quotidiano 22 luglio 2017