Riferimenti normativi: Art.1108 c.c.- art.1139 c.c.
Focus: Nelle compagini condominiali di edifici spesso alcuni spazi condominiali, specialmente quelli antistanti a botteghe o box, vengono utilizzati da alcuni condòmini come spazi privati come ad esempio il cortile condominiale usato dai proprietari di ludoteche, di negozi ecc. E' legittimo l'uso privato di parti condominiali?
Principi generali: Un condomìnio, generalmente, si costituisce di fatto nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano aliena a terzi la prima unità immobiliare che può essere utilizzata in maniera autonoma e separata. Nello stesso momento in cui il proprietario vende un immobile perde, di conseguenza, la proprietà esclusiva di pertinenze e di servizi comuni dell'edificio. Fermo restando che si intende per "parte comune" un bene o un servizio che costituisce oggetto di comunione tra più persone o che si qualifica come bene condominiale, l'art.1139 c.c. rinvia l'applicazione delle norme sulla comunione al condòminio in quanto compatibili.
Tra le norme in tema di comunione che si applicano al condomìnio rientra l'art.1108 c.c. che, al comma 3, prevede la possibilità per tutti i partecipanti alla comunione di trasferire ad un altro soggetto il diritto reale del bene, come ad esempio un'area comune del palazzo, purché ci sia il consenso unanime di tutti i comunisti/condòmini. Da ciò si evince che parti condominiali possono diventare private solo se c'è il consenso di tutti i condòmini espresso con deliberazione assembleare che dovrà essere seguita dalla stipula di un contratto di compravendita in forma scritta tra comunisti/condòmini e terzo contraente per poter trasferire effettivamente il diritto ad un terzo.
Se non vi è il consenso di tutti i proprietari il contratto di compravendita non produce alcun effetto in quanto nullo.Tale principio è stato affermato da recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Ordinanza n.9361 dell'8 aprile 2021) secondo la quale la proprietà spetta pro quota a tutti i condòmini e può essere trasferita solo con il consenso di tutti i titolari del bene. Nel caso di specie afferente un edificio di proprietà indivisa di alcuni fratelli costruttori uno di essi vendeva un'unità immobiliare ubicata all'interno del fabbricato in favore di una sorella. Dal momento della vendita di quell'appartamento nasceva di fatto il condomìnio che non riguardava solo l'appartamento ma anche le parti comuni indicate dall'art.1117 c.c.
Altra modalità attraverso la quale si perde il diritto di proprietà esclusiva è l'usucapione.La Suprema Corte di Cassazione con l'Ordinanza n.26691 del 24/11/2020 ha osservato che per usucapire una parte comune dell'edificio tra comproprietari deve sussistere un possesso continuativo e indisturbato del bene per almeno 20 anni da parte di uno dei comproprietari che ne disponga liberamente per i propri interessi per mezzo di un'attività durevole ed incompatibile con quella degli altri comproprietari. Un esempio è ravvisabile nel caso del condòmino che chiude il ballatoio comune non permettendo più agli altri di transitare per raggiungere i rispettivi alloggi e pertinenze.
Incombe su colui il quale invoca l'avvenuta usucapione del bene comune l'onere della prova (Tribunale dell'Aquila, n. 782/2020). La Cassazione (Cass.sent. n. 9380/2020, depositata il 21/5/2020) a tal proposito ha evidenziato che "Il condomino che deduce di avere usucapito la cosa comune deve provare di averla sottratta all'uso comune per il periodo utile all'usucapione e cioè deve dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituita da atti univocamente rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a costoro l'intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l'imprescrittibilità del diritto in comproprietà".