Di Alberto Pezzini su Domenica, 03 Febbraio 2019
Categoria: Legge e Diritto

"Una madre perde il figlio e un giudice la minaccia?" Pezzini: "Comportamento da brividi e pure illegale"

 Il caso Vannini è esploso. 

Per paradosso siamo tutti più concentrati sulla frase del Presidente anziché sulla effettiva sostanza del processo.
Una derubricazione lacerante.
Che non possiamo giudicare di pancia, almeno noi che di diritto mastichiamo le polpette avvelenate di tutti i giorni.
Attendiamo le motivazioni.
Poi, si vedrà.
Il sarcasmo del Presidente è stato fuori luogo, inopportuno, urticante, da brividi.
Sarcasmo in greco deriva da carne.
Sarcastico è colui che lacera le carni.
Come questo Primo Presidente di una Corte d'Assise d'Appello.
Il Presidente di un dibattimento penale è colui – anche – che esercita la disciplina dell'udienza e lo fa – secondo il codice – senza formalità.
Oralmente. Può farsi assistere dalla Forza Pubblica.
Ecco perchè quella frase non è soltanto infelice. E' sbagliata sotto l'aspetto procedurale.
Il Presidente interrompe la lettura del dispositivo se qualcuno del pubblico o delle parti la ostacola. Convoca le forze dell'ordine presenti in aula e fa sgomberare l'aula da chi disturba.
Punto. Riprende la lettura. Fine.
Se volete farvi una passeggiata a Perugia – oltretutto per chi non è un giurista e non è al corrente della figura della competenza per materia applicata ai magistrati – è una frase sibillina.
Ma soprattutto è una frase sarcastica che viola l'art. 470 del Codice di Procedura Penale.
Anzi, fa peggio.
Ne tradisce l'intima essenza e il dettato letterale che il legislatore vi ha inserito all'interno.

 Il Presidente regge l'udienza senza formalità, da solo. E senza cadute di stile umane e procedurali. Pronunciare una frase del genere significa aver rivelato una fragilità emotiva profonda, che non si addice ad un magistrato di quel livello.
Se fossi un esperto di musica direi che ha sbagliato l'intonazione, il timbro e il tempo.
Ha inferto un danno terribile alla magistratura ma soprattutto alla percezione che le persone hanno dei giudici.
Quando un giudice legge un dispositivo è lo Stato. E' lo Stato che legge.
Non è la persona in carne ed ossa che sta sotto la toga.
Lo Stato può essere potere bruto ma non brutale.
Ci vuole classe e ci vuole rispetto.
Se condanni un uomo per un delitto, è lo Stato a condannarlo. Va bene. Non discutiamo.
Ma le sentenze si leggono e se non vengono lette per il clamore dell'aula si chiamano i carabinieri. Non si pronunciano pessime frasi offensive anche per l'umanità delle parti private.
Mi offende – di questa vicenda – la mancanza di contestualizzazione del cuore. La legge è legge e il cuore non c'entra.
Ma siete stupidi ?
La sentenza ormai c'era, stava per esserne terminata la lettura, che bisogno c'era di aggiungere del sale a delle ferite già così divaricate ?
A una madre che perde il figlio anche in aula le dite che la denunciate non con le forme e i crismi che si aspetterebbe da un giudice, ma in modo sferzante, pungente, minaccioso?
Davvero, non ci sto capendo più un cazzo.