Di Redazione su Martedì, 25 Luglio 2017
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Udine, Aiga: "Pm subito sospeso, Orlando invii ispettori". Ma il Procuratore capo insiste: "Noi nel giusto, depositato ricorso in cassazione contro Riesame".

Dopo la solidarietà del Consiglio dell´Ordine di Udine, del Cnf, delle Camere Penali e di Movimento Forense della quale abbiamo dato conto in questo portale, anche AIGA ha espresso solidarietà ai Colleghi di Udine "che hanno subito da parte della locale Procura della Repubblica, con il concorso del Giudice per le Indagini Preliminari, una vera e propria aggressione alla funzione costituzionale di tutori dei diritti dei propri assistiti". Ne ha dato notizia Agenparl.

"Un´aggressione" - hanno sottolineato dall´associazione - "che si è svolta in modalità particolarmente odiose, espressione di una inusuale protervia, essendo state violate addirittura le abitazioni dei professionisti.

Non è la prima volta che gli avvocati che svolgono con la schiena dritta la loro attività subiscono enormi danni per la loro dirittura morale.
In alcuni casi, estremi, essi sono stati barbaramente uccisi dai criminali (come Croce o Famà)".

Ma "l´aggressione" - prosegue Aiga "desta addirittura maggiore sgomento quando proviene da chi condivide lo stesso giuramento di fedeltà alla Costituzione.

Oggi un avvocato è accusato di favoreggiamento per aver semplicemente suggerito al proprio cliente di esercitare un proprio diritto, costituzionalmente tutelato, che èè quello di tacere. La Procura, contestando oltre al favoreggiamento, anche il patrocinio infedele, ha osato invadere il campa – sacro – della difesa e delle proprie strategie".

Non si tratta di casi isolati, dice ancora Aiga: "In altro – non recente – caso, un altro Sostituto Procuratore aveva contestato il favoreggiamento a un avvocato che aveva chiesto ai sensi del 391-quater dei documenti a una Pubblica Amministrazione, perché "con atti veri intendeva sostenere una tesi falsa".

Denuncia ancora l´associazione: "Ciò che è avvenuto ad Udine, in un caso di modesto allarme sociale, per reati assolutamente ordinari, accade spesso, con modalità addirittura più invasive e con smisurata violenza nei confronti degli Avvocati che operano nei processi di criminalità organizzata, specie di tipo pagina 2 mafioso, laddove, a fronte della concreta riduzione di garanzie difensive, il ruolo del difensore è particolarmente delicato e importante. Naturalmente, gli avvocati più giovani e/o meno esperti sono i più esposti a queste "ritorsioni" e intimidazioni da parte dei magistrati".

Da qui, l´appello finale dei vertici di Aiga alle istituzioni forensi, ma anche al Governo: "L´Avvocatura deve esigere che gli autori di queste malefatte vengano immediatamente sospesi dall´esercizio delle loro funzioni, allontanati dai rispettivi Uffici in attesa che il CSM li punisca con
severità. L´AIGA chiede, pertanto, che l´OCF proclami uno stato di agitazione di tutta l´Avvocatura, valutando ogni possibile iniziativa, anche clamorosa, a tutela dei Colleghi coinvolti e del principio della sacralità della difesa.
L´AIGA chiede, altresì, che il Sig. Ministro della Giustizia invii immediatamente i propri Ispettori per fare luce sull´ accaduto".

Ma il Procuratore capo di Udine, Antonio De Nicolo, ha affidato ad una nota, riportata oggi da Il Dubbio, il proprio pensiero, facendo sostanzialmente quadrato a difesa dell´azione della Procura, e lasciando intendere che, nella concreta vicenda, ci può essere dell´altro.

Secondo De Nicolo, «l´esercizio della facoltà di non rispondere e il consiglio dell´avvocato di avvalersene sono, come ovvio, atti legittimi che mai potrebbero esporre qualcuno a responsabilità penale. La questione è più complessa e abbiamo cercato di affrontarla accuratamente nel ricorso per Cassazione depositato sabato scorso».

La procura, pertanto, ha deciso di contestare di fronte alla Suprema Corte di Cassazione l´ordinanza dello scorso 13 luglio, con cui il Tribunale del Riesame di Udine aveva annullato i provvedimenti di perquisizione disposti a carico dei due legali interessati, «non essendo ravvisabile il fumus del reato di patrocinio infedele contestato».

Le parole del Procuratore Capo, magistrato di lungo corso e di grande esperienza (prima di essere inviato alla Procura di Udine, ha ricoperto la funzione di sostituto procuratore generale a Venezia) lascerebbero quindi intendere che, quantomeno secondo l´ufficio, nella concreta vicenda possa esserci dell´altro.

L´impressione, un po´ da tutti condivisa, che al termine di questa vicenda qualche testa potrebbe saltare. Una vicenda troppo clamorosa per poter essere ricomposta come se nulla fosse avvenuto. Non rimane, pertanto, che attendere il pronunciamento della Cassazione e le determinazioni del Ministero della Giustizia.


Il commento di Alberto Pezzini apparso domenica sul nostro Portale



A Udine un Pm ha indagato per favoreggiamento due avvocati che avevano consigliato ai loro assistiti di non rispondere durante un interrogatorio.

Un episodio che ha dell´incredibile ma è vero. Credo quia absurdum, avrebbe detto Tertulliano che in materia di cose fuori dal normale si fece una notevole esperienza con i cristiani alle prese con i romani.

Se penso a tutto le volte che mi sono ritrovato davanti al Gip – negli interrogatori di convalida – a consigliare al mio cliente di stare zitto chè sarebbe stato meglio, avrei dovuto collezionare decine anzi centinaia di iscrizioni al registro degli indagati.

Lo sappiamo tutti.
Avvalersi della facoltà di non rispondere è un diritto.
L´avvocato ha il dovere di avvisare il proprio cliente e l´autorità giudiziaria anche.
E allora, perchè?

Perchè i PM sono i veri detentori del potere. Possono metterti le manette, tutto sommato, anche se debbono transitare davanti ad un gip che – a volte? - non guarda neanche la richiesta che i primi gli sottopongono.

Mi viene in mente quella bella, colorita espressione che ritrovai nelle carte della dottrina mentre preparavo un intervento da esporre ad un convegno: sartine, con cui si indicavano i Gip, capaci soltanto di fare opera di cucito senza avvedersi di cosa mettono insieme.

Il PM di Udine ha pure perquisito – a quanto pare – gli studi dei due avvocati.
Ciò significa che la polizia giudiziaria è entrata nella sfera personalissima e segreta di questi due colleghi.

Con le facce basite, annichilite, tra lo spavento e uno sconcerto profondo, infinito come un mare su cui il sole si fa fatica a credere possa ancora sorgere.

Il problema sono loro, sono i PM, esseri senza guida e senza controllo, cani da guardia a tre teste che nessuno controlla.
Cosa potranno mai fare a questo PM di Udine ? Ditemi.

A lui che ha violato impunemente articoli del Cpp, della Costituzione, e ha cercato di ottenere prove compiendo l´azione più vigliacca e nefanda che una parte del processo può commettere in danno dell´altra?

Abusare del proprio potere.
Mi vengono in mente tutti gli avvocati che si faranno intimidire dai PM.

Poveretti e poveretta, anzi miseranda la nostra professione.

Una volta un giudice mi disse di stare zitto in aula, mentre stava facendo a brandelli il codice sulle spalle del mio cliente.

Non stetti zitto per nulla e cominciai a urlare.
Il Giudice chiamò i carabinieri.
Benissimo, li aspettai.

Quando uscii dall´aula andai subito a scrivere un esposto.

Ma fui più contento di essere stato fermo ed irremovibile di quanto ottenni dopo.
Perchè noi avvocati dobbiamo avere le palle di resistere a tutti questi meteoriti che ogni tanto ci piombono addosso.

Non sono un eroe, per così poco.
Sono uno come tutti gli altri, che si è reso conto di non poter deflettere in quella data ora, pena la perdita di dignità personale.

Se lo avessi fatto, il primo da prendere a sputi sarei stato io quando mi facevo la barba.
Capite che non avrei potuto agire diversamente.

La mia solidarietà a questi colleghi, anzi Colleghi di Udine.

L´ultima cosa. Avete sentito cosa ha detto la figlia minore di Borsellino alle toghe nissene ?

Li ha accusati di aver amministrato un depistaggio giudiziario in danno della memoria del padre per più di vent´anni.

Il problema del nostro sistema giudiziario sono loro, i PM, non dimentichiamolo mai.
Fino a quando una legge non li separerà dai giudicanti, dovremo rassegnarci a far parte di un sistema ordinamentale malato in partenza, zoppo come una capra di montagna a cui il mare fa male.
Alberto Pezzini

Alberto Pezzini, autore di questo articolo è nato a Sanremo nel 1967. Fa l´avvocato ed è pubblicista. Collabora con Libero e Avvocati. Ha scritto Volevo fare l´avvocato (Historica 2015), Mamma e Papà non litigate (Historica 2016), Ciao Papà sono qui (2016), Lo scugnizzo e i gabbiani (Historica 2016), viaggio nel POnente LIgure. Il confine sconosciuto (Historica 2017). fa l´avvocato ma vorrebbe diventare uno scrittore come Fred Uhlman, quello de L´amico ritrovato. Magari prima dei settant´anni.

I fatti, la nota del Coa, le nostre considerazioni nel nostro editoriale


La Sacra Inquisizione ha sede ad Udine, il Coa: "Colleghi intimiditi da pm, noi indignati".
23-07-2017 07:40 - Avvocatura, Ordini e Professioni

Una storia incredibile arriva in queste ore dal Foro di Udine.
Una storia di provincia, perché solo in provincia possono accadere dei fatti che, per come sono rappresentati, sembrano veramente ai limiti.
Una storia narrata, con prudenza e un certo riserbo, e se possibile nell´imbarazzo, sui social, ma nelle ultime ore è stata portata agli onori della cronaca dal quotidiano del Cnf Il Dubbio.

Un caso che la storia sìa stata raccontata proprio da Il Dubbio? Certamente no.

Non si tratta, non può trattarsi di un caso, perchè Il Dubbio, come detto, è il giornale edito dal Cnf e questa storia, quella che racconteremo, è destinata, con il passare delle ore, a scuotere la giustizia italiana, a minare, fin dalle fondamenta, uno dei postulati per eccellenza, che cioè il suo equilibrio sia assicurato non solo dall´autonomia ordinamentale tra la magistratura e l´avvocatura - ordinate su piani diversi e titolari di diverse e complementari funzioni - ma anche e soprattutto dal reciproco rispetto per la dignità di ciascun ordine.

Rispetto che implica, prima di tutto, una esigenza di estrema attenzione per il rispetto delle regole, specie quando esse tutelano interessi di una parte terza e più esposta, quella dei cittadini, di coloro che usufruiscono della Giustizia, di quella generalità senza la quale non potrebbero esistere né gli avvocati nè, tantomeno i magistrati, e neppure lo Stato di diritto, come lo intendiamo nelle società contemporanee.

Rispetto che significa misurare i propri comportamenti sulla base di queste regole, esitare prima di assumere decisioni che possano determinare la rottura di equilibri delicati senza che sussista la certezza, o almeno la ragionevole probabilità, che tali decisioni debbano invece essere assunte in nome di un interesse più alto.

Rispetto che deve indurre, se proprio tali comportamenti meritano di essere assunti, ad evitare spettacolarizzazioni fuori luogo, annunci urbi et orbi, indebiti protagonismi.

Rispetto che deve implicare, nel caso tutto questo sia avvenuto, e che un organo superiore ne abbia proclamato la erroneità, ad emendare l´errore attraverso il pubblico riconoscimento che di errore, appunto, si è trattato.

Rispetto che è del tutto mancato nel caso raccontato dal quotidiano.

Ecco perchè, si lasci passare il termine terribile onomatopeicamente, solo Il Dubbio avrebbe potuto raccontare questa storia, perché quanto è accaduto e sta ancora accadendo ad Udine, suscita molti interrogativi. Per dirla tutta, lascia sgomenti.

I protagonisti? Si, ma non solo. Pensiamo, tutti gli avvocati italiani. Siamo quasi certi, anche la stragrande maggioranza dei magistrati.

Cosa è accaduto ad Udine? È accaduto, spiega il quotidiano, che alcuni colleghi siano stati indagati per aver suggerito al proprio assistito di avvalersi della facoltà di non rispondere.

I protagonisti di questa vicenda kafkiana sono, cominciamo ad entrare nei particolari, due avvocati di quel Foro (Udine), che il 23 giugno hanno addirittura subito l´onta della perquisizione dei propri studi e delle proprie abitazioni. La ragione? Presto detto: in quanto accusati dal pm di Udine di infedele patrocinio.

"Secondo il pm che ha ottenuto la perquisizione e il sequestro, uno dei due avvocati" - si spiega nel quotidiano - "avrebbe violato la legge suggerendo ad una cliente, accusata di favoreggiamento, di rimanere in silenzio durante un interrogatorio".

Una accusa strana e incongrua, dato che quel suggerimento è un diritto previsto dal nostro ordinamento.
Ma non solo: l´indagata avrebbe commesso il reato di favoreggiamento a beneficio del marito, quando il codice penale prevede il vincolo matrimoniale «quale causa di non punibilità».

Il pm, però, non si è accontentato di questo e ha ritenuto di indagare anche un secondo avvocato, questa volta difensore del coniuge della donna. Contestando a questo secondo collega un reato che sembra letteralmente uscito dal mondo della Sacra Inquisizione, di essersi scambiato informazioni con il Collega!

Due avvocati alla sbarra, sulla base di valutazioni che appaiono a dir poco pretestuose, ed i provvedimenti accompagnati da un grande clamore sugli organi di stampa. E di commenti che hanno visto al centro della scena una sola figura: quella del Giustiziere.

Clamore che, ha rilevato il COA, ha determinato «pregiudizio e nocumento dell´intera categoria professionale».

Clamore che, invece, "non è stato dato alla decisione del Riesame, che il 13 luglio ha annullato il provvedimento restituendo il materiale sequestrato, «non essendo ravvisabile il fumus del reato di patrocinio infedele»".

Con ordinanza del 13 luglio scorso, infatti, il Tribunale per il Riesame di Udine, adito dai difensori degli indagati, ha disposto l´annullamento del provvedimento di perquisizione e di sequestro e la restituzione agli aventi diritto di quanto in sequestro, non essendo "ravvisabile il fumus del reato di patrocinio infedele
contestato".

Osservando che il suggerimento rivolto da un difensore alla propria assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere costituisce "linea difensiva" in relazione alla quale "non può essere mossa alcuna censura, la stessa essendo esplicazione di un diritto espressamente riconosciuto
all´indagato/imputato".

Che anche in difetto di specifiche
ragioni di opportunità, comunque rientri pienamente nel diritto di difesa quello di suggerire alla propria assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere e che è legittimo che i difensori abbiano avuto contatti e scambi di informazioni atteso che è il Codice Deontologico forense che lo suggerisce.

"Il Pubblico Ministero" - ha scritto in una nota che anche noi condividiamo il Coa - "con il suo agire ha preteso di interferire nel rapporto
esclusivo tra difensore e difeso e di condizionarne lo svolgimento.
Il Pubblico Ministero ha infatti incriminato avvocati per avere costoro suggerito al proprio assistito una certa linea difensiva (anzichè altra) perfettamente legittima, ma al Pubblico Ministero non gradita,
evidentemente perchè non suscettibile di condurre all´acquisizione di elementi di prova a sostegno della sua tesi accusatoria.
Intuibile è la portata condizionante di siffatto modus agendi, in quanto
idoneo a condizionare la scelta difensiva da parte di avvocato che non voglia essere incriminato".

E´ il difensore, insieme con l´assistito - e non la Pubblica Accusa" - ha proseguito il Coa - la sola parte processuale deputata a valutare e
decidere ciò che sia utile o dannoso all´indagato e all´imputato.

Ribadendo anche "la propria assoluta contrarietà alla sovraesposizione
mediatica che caratterizza non di rado vicende processuali ancora lontane dalla possibilità di affermazione della responsabilità dei soggetti coinvolti nelle indagini" e rilevando, con riferimento al caso di specie, "che quello che
appare un grave incidente di percorso del Pubblico Ministero non avrebbe portato nocumento all´immagine dell´Avvocatura in prima battuta e della Pubblica Accusa ora se la notizia fosse stata mantenuta nei giusti e ristretti limiti suggeriti da prudenza e riservatezza. Tanto più che, come perfettamente prevedibile e come avvenuto nel caso
di specie, la notizia dell´ordinanza pronunciata dal Tribunale del Riesame è stata pubblicata con veste grafica assai meno visibile di quella scelta per la pubblicazione della notizia della perquisizione e del sequestro e della pendenza del procedimento a carico dei due professionisti".

Una nota, in conclusione, che ribadisce "la piena adesione al modello di giudice "terzo e imparziale" tracciato dal legislatore, adesione che trova alta affermazione nel riconoscimento del valore intangibile del rapporto tra difensore e difeso e del principio di libertà racchiuso nel diritto di non rispondere alle domande poste sia in fase di indagini che in fase di giudizi".

Questi i fatti, rispetto ai quali esprimiamo, pur nella consapevolezza che il provvedimento del Riesame è contingibile e non definitivo, biasimo per come quel pm ha esercitato le proprie funzioni, riconoscendoci in toto nelle valutazioni di quel Coa ed auspicando che una indagine interna porti ad esaminare se sussistano i presupposti ed elementi di responsabilità, anche disciplinare, a carico di quel magistrato.

Per il resto, facciamo nostre, senza alcun ulteriore commento, le parole espresse da una Collega di tutt´altra parte d´Italia circa i fatti in commento.

"Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale" - ha scritto Monica - mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini di giustizia e tutela dell´assistito, nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento".

Siamo avvocati ed indipendenti.
Una procura non può permettersi di intimidirci. Tuteliamo gli assistiti - ha concluso - e non facciamo favori alle procure.

La nostra solidarietà ai Colleghi.
Avv. Piero Gurrieri