Quando Grace Kao, avvocatessa 27enne californiana, è arrivata all´aeroporto JFK di New York, ha scritto su un cartello «Immigration Lawyer».
Poi, insieme alle sue colleghe del New York Legal Assistance Group, ha cercato un modo per individuare e assistere le famiglie bloccate dal decreto anti-immigrazione, firmato dal presidente Donald Trump.
«Quando ho saputo del Muslim Ban - ci racconta Grace Kao, appena rientrata dal JFK - mi sono detta che sarebbe stato il caos. Ma almeno sarebbero trascorsi mesi prima di vedere attuate le restrizioni. Invece il decreto ha avuto decorrenza immediata. Poche ore dopo è arrivata la notizia dei primi passeggeri trattenuti in aeroporto».
E il caos è stato e continua ad esserlo. Dopo le proteste scoppiate negli scali di almeno cinquanta città americane, le critiche arrivate dai principali leader internazionali, Donald Trump è deciso a non fare mezzo passo indietro. Anzi, nelle ultime ore ha licenziato la ministra ad interim della Giustizia, Sally Yates, che aveva ordinato ai legali del suo dipartimento di non difendere il decreto in tribunale.
Dopo essere stata prima bloccata dalla polizia aeroportuale, Grace Kao è riuscita a entrare. «Sono andata al Terminal 4, dove al Central Diner, era stato organizzato una sorta di quartier generale degli avvocati. C´era chi correva a destra e sinistra cercando di recuperare le informazioni necessarie a individuare le persone bloccate o arrestate».
Dopo aver effettuato il check-in come legale volontaria, Grace Kao si è unita a un gruppo di avvocati al Terminal 7. «L´obiettivo principale era riuscire a identificare chi si trovava in difficoltà. Quindi ci siamo messi, con i cartelli, all´uscita degli sbarchi offrendo il nostro aiuto e chiedendo ai passeggeri in uscita se alcune persone a bordo, fossero state fermate».
Per motivi di sicurezza e privacy, Grace Kao non può rivelare dettagli riguardo i suoi assistiti. «In molti casi si tratta di persone regolarmente residenti, o in possesso di un regolare permesso di soggiorno, trattenute dalle tre alle nove ore per essere interrogate. Temiamo anche, come ci è stato riferito da alcuni passeggeri, che alcune persone possano essere "costrette" a rinunciare alla propria residenza o alla propria richiesta di visto».
La notte di domenica, Grace Kao l´ha trascorsa al Terminal 1. «Era stata richiesta la presenza di avvocati specializzati in immigrazione e mi sono offerta. Dappertutto c´erano, e ci sono ancora, legali come me, seduti sul pavimento a lavorare con i propri computer. Ci siamo scambiati le informazioni sui casi seguiti e durante la notte abbiamo cercato di capire quante persone fossero ancora in stato di fermo».
All´alba Grace ha ripreso la sua macchina, diretta a casa. Ha guidato per quarantacinque minuti prima di raggiungerla. «La mattina dopo sono andata al lavoro. Anche se stanca, sono felice di aver potuto dare il mio contributo. Nei prossimi giorni il caos non diminuirà. Tuttavia, c´è una fetta di popolazione pronta a offrire assistenza, affinché nessuno sia arrestato o deportato ingiustamente. Le famiglie devono potersi riunire, in sicurezza».
Chi si trova in difficoltà in queste ore, può chiedere assistenza legale scrivendo qui Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Chi non riesce a contattare persone care o parenti e crede siano stati bloccati in aeroporto può chiamare il numero messo in atto dal governatore Cuomo, 1-888-769-7243. Infine, le persone che si trovano all´estero e gli viene impedita la partenza verso gli USA, possono contattare l´indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Fonte: Vanity Fair 31.1.2017