Di Redazione su Sabato, 27 Agosto 2016
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Mancato rientro in servizio dopo malattia, S.C.: licenziamento legittimo anche se non immediato

Sulla vicenda si è espressa la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 17243, pubblicata il 22 agosto 2016.
Nel caso de quo, nel quale un lavoratore era stato licenziato per aver superato il periodo massimo d´assenza dal lavoro per malattia (csd.periodo di comporto) il Tribunale adito aveva rigettato la domanda, così come il Giudice di gravame.
Il lavoratore ricorreva quindi in Cassazione muovendo varie censure ritenute infondate dal Supremo Collegio.
Gli Ermellini partono dalla premessa che dalla motivazione della sentenza impugnata non risulta che la Corte abbia riferito di una richiesta inviata dal ricorrente entro il termine fissato, né del mancato rispetto del termine stabilito per l´adempimento da parte del datore di lavoro, traendo dalle superiori premesse il convincimento della inammissibilità del denunciato error in judicando, che era stato fondato sul presupposto - giudicato insussistente - di una erronea interpretazione o applicazione della disciplina legale. Per altro verso - ha soggiunto il Collegio - non risulta che il ricorrente per cassazione abbia lamentato l´omesso esame di motivi di gravame aventi ad oggetto la questione della tardività, vertendo la censura su una presunta violazione del procedimento di cui all´art. 2 L.604/66 e non su error in procedendo per mancato esame di motivi di appello.
Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato dagli Ermellini. Infatti, in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia del lavoratore, fermo restando il potere datoriale di recedere non appena terminato il periodo suddetto, e quindi anche prima del rientro del prestatore, nondimeno il datore di lavoro ha altresì la facoltà di attendere tale rientro per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del dipendente all´interno dell´assetto organizzativo, se del caso mutato, dell´azienda. Ne deriva che solo a decorrere dal rientro in servizio del lavoratore, l´eventuale prolungata inerzia datoriale nel recedere dal rapporto può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia del potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente (Cass. n. 24899 del 2011).
Dunque, non può parlarsi di rinuncia tacita al recesso per superamento del periodo di comporto in casi, come quello in esame, in cui il presunto ritardo si colloca nel protrarsi dell´assenza dal lavoro e non successivamente alla ripresa del servizio.
Resta poi fermo - ha concluso sul punto la Sezione - il principio, più volte enunciato, secondo cui nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia l´interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa valutare nel complesso la convenienza ed utilità della prosecuzione del rapporto in relazione agli interessi aziendali.
Anche Il terzo motivo è stato dichiarato inammissibile dal Supremo Collegio, ex art. 366 n. 6 c.p.c..
La Sezione ha premesso che la disciplina contrattuale (art. 35, comma 14 CCNL comparto Università) richiamata a sostegno del motivo è la seguente: "In caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui al comma I del presente articolo, oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day - hospital anche quelli di assenza dovuti alle terapie. Per i giorni anzidetti di assenza spetta l´intera retribuzione, ivi compresa quella accessoria, secondo i criteri definiti in sede di contrattazione integrativa. La certificazione relativa sia alla gravità della patologia che al carattere invalidante della necessaria terapia è rilasciata dalla competente struttura sanitaria pubblica".
La norma collettiva - ha rilevato la Sezione - fa riferimento ad assenze conseguenti a terapie che determinano una temporanea o parziale invalidità lavorativa, il ricorrente lamentando che la sentenza impugnata, disattendendo le risultanze della c.t.u. medico-legale espletata in primo grado, era pervenuta ad un´errata applicazione della disciplina contrattuale. Tuttavia, il ricorrente non aveva riportato il testo della c.t.u. medico-legale, né comunque il contenuto degli accertamenti svolti nel corso del giudizio che avrebbero consentito di fare emergere, a suo avviso, l´errore di giudizio espresso dalla Corte territoriale.
Infondato anche il quarto motivo. La Corte di appello - secondo la Sezione - ha correttamente ritenuto che legittimato alla richiesta di rimborso sia l´INPS e non il datore di lavoro, in conformità a Cass. n. 16140 del 2002 secondo cui la norma di cui all´art. 5, comma quattordicesimo, del D.L. 12 settembre 1983 n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983 n. 638, che prevede la decadenza del lavoratore dal diritto all´indennità di malattia qualora risulti ingiustificatamente assente alla visita di controllo riguarda il rapporto previdenziale intercorrente tra il prestatore di lavoro e l´Inps, che va tenuto distinto dal rapporto di lavoro, ancorché l´indennità debba essere di regola anticipata dal datore di lavoro, salvo il conguaglio con i contributi previdenziali. Pertanto legittimato all´azione di restituzione è L´Inps, titolare del rapporto obbligatorio e non il datore, il quale lavoratore va considerato non come solvens, ma come adiectus solutionis causa.
In conclusione, il ricorso è stato integralmente rigettato dai Supremi Giudici.
Sentenza allegata.




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