Con la sentenza n. 26182 dello scorso 31 maggio, la V sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per stalking inflitta ad un marito per aver insistentemente inviato all'ex moglie messaggi, telefonate e lettere, con violazione di domicilio, cosi determinando nella donna un perdurante stato di paura e ansia.
Escludendo che le condotte contestate fossero semplici molestie dettate dall'intento dell'uomo di riconquistare la donna, la Cassazione ha precisato che "il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p., (ovvero il serrato corteggiamento amoroso) consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale a carico di un uomo, accusato per il delitto di atti persecutori aggravato ai danni dell'ex coniuge, per aver più volte inviato alla donna messaggi, telefonate, lettere, con violazione di domicilio, anche in danno della vicina di casa.
Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte di Appello di Torino condannavano l'uomo alla pena ritenuta di giustizia.
I giudici di merito rilevavano come, in conseguenza delle condotte persecutorie messe in atto dall'imputato, era sorto nella persona offesa un perdurante stato di paura e ansia, tale da costringerla ad abbandonare il proprio domicilio, rifugiandosi in un luogo tenuto nascosto anche alle forze di polizia.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'imputato deduceva violazione di legge in ordine all'affermazione della penale responsabilità in relazione al delitto di stalking.
Secondo la difesa del ricorrente, difatti, non erano ravvisabili gli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori avuto riguardo alla reiterazione dei comportamenti da parte dell'imputato, che si era limitato ad un più serrato corteggiamento amoroso al solo fine di riallacciare il rapporto sentimentale, senza alcuna volontarietà della fattispecie incriminatrice.
La Cassazione non condivide le doglianze formulate.
La Corte ricorda che il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p., (il serrato corteggiamento amoroso, prospettato dal ricorrente) consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612 bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato.
In particolare, in tema di atti persecutori, rientra nella nozione di molestia, quale elemento costitutivo del reato, qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio ed ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come il ricorso – nel proporre una diversa ricostruzione in fatto della vicenda criminosa – non si confronti con la motivazione della sentenza impugnata, omettendo di considerarne il percorso argomentativo e motivazionale e dimenticando che in sede di legittimità è precluso il sindacato della ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito, in assenza di vizi di manifesta illogicità della motivazione ovvero travisamento della prova.
Con motivazione incensurabile, difatti, i giudici di appello hanno accertato come la persona offesa si fosse determinata alla separazione proprio in ragione della progressione degli atteggiamenti persecutori e minacciosi tenuti ai suoi danni dal ricorrente, comportamenti concretizzatisi in messaggi, telefonate, lettere, violazioni di domicilio, anche in danno della vicina di casa e tali da generare ansia e paura nella stessa, costringendola ad abbandonare il proprio domicilio, rifugiandosi in un luogo tenuto nascosto anche alle forze di polizia.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.