Di Rosalia Ruggieri su Lunedì, 25 Giugno 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto tributario e fiscale

Spesa per partecipazioni a mostre e fiere: da imputare integralmente ad esercizio sostentamento

Con la pronuncia n. 16223 dello scorso 20 giugno in tema di costi sostenuti da una società di capitale per la partecipazione a mostre e a fiere, la sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha precisato che le relative spese non sono di rappresentanza, bensì di pubblicità, attesa la finalità diretta di aumento delle vendite, che devono essere imputate integralmente nell'esercizio di sostenimento, salvo che la parte non scelga di imputarle forfettariamente nell'esercizio di sostenimento e nei quattro successivi.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dal ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la quale si era pronunciata in controversia concernente l'impugnativa degli avvisi di accertamento relativi ad IVA per gli anni di imposta 2002 e 2003.

In particolare, la Commissione Tributaria Regionale riteneva illegittimi i recuperi a tassazione relativi ai costi sostenuti per la partecipazione a mostre e fiere, ritenendo che costituissero oneri di vendita a carattere pluriennale.

La difesa dell'Agenzia delle Entrate, ricorrendo in Cassazione, rilevava che le spese di partecipazione a fiere dovessero rientrare nelle spese di pubblicità, essendo per loro natura finalizzate ad un incremento delle vendite: da ciò ne conseguiva la loro imputazione integrale nell'esercizio di sostenimento, salvo che la parte non avesse scelto di imputarle forfettariamente nell'esercizio di sostenimento e nei quattro successivi, eventualità che non si era realizzata nel caso di specie, in quanto la società le aveva parzialmente imputate anche all'anno 2003, oltre che all'anno 2002. 

La Cassazione condivide i rilievi avanzati dall'Agenzia delle Entrate, ritenendo pacifico che i costi di partecipazione alle fiere, avendo una finalità diretta di incremento delle vendite, devono considerarsi costi di pubblicità.

Per una corretta ricostruzione del quadro fiscale, è essenziale diversificare le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità, in quanto – sebbene entrambe appartengano alla stessa famiglia di costi – in base al tipo di spesa sostenuta cambia l'aspetto normativo delle imposte dirette e dell'IVA.

Più nel dettaglio, le spese di rappresentanza sono tutte quelle sostenute per acquisto di gadget e beni distribuiti gratuitamente (quali omaggi di fine anno, regali vari, qualunque bene ceduto senza il presupposto di un corrispettivo o di una controprestazione), nonché le spese necessarie a mantenere o accrescere il prestigio dell'impresa migliorandone l'immagine (quali pranzi con clienti, fornitori e agenti, rinfreschi in occasione di cerimonie, inaugurazioni o manifestazioni istituite dalla società, costi per l'organizzazione di meeting presso località turistiche, ecc.).

Siffatti costi sostenuti dall'impresa sono ammessi in deduzione nella misura di un terzo del loro ammontare in quote costanti nell'esercizio in cui sono state assunte e nei quattro successivi.

Le spese di pubblicità sono, invece, quelle sostenute per realizzare un'azione di direct marketing rivolta indistintamente alla collettività al fine di aumentare la vendita del prodotto reclamizzato o comunque per presentare l'azienda al mercato; siffatte spese sono deducibili nell'esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell'esercizio stesso e nei quattro successivi. 

 Le spese sostenute dall'impresa in occasione di fiere vengono considerate spese di pubblicità in quanto sono uno strumento di promozione delle vendite; invece, non costituiscono spese di pubblicità tutti quei costi sostenuti, sempre in occasione di fiere, per viaggi e alloggi dei clienti invitati, in quanto mirano a ottenere la conclusione di contratti di vendita.

La giurisprudenza (Cass. sent. n. 7803/00) ha infatti precisato che "in materia di imposte sui redditi, rientrano tra le spese di rappresentanza di cui all'art. 74 T.U.I.R. – (ndr oggi art. 108) – i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre ne restano escluse le spese sostenute per incrementare le vendite; i pranzi offerti ai clienti non costituiscono spese di rappresentanza qualora sussista una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite (nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva qualificato come spese di pubblicità e promozione quelle sostenute in occasione di una fiera per servizio bar, pranzi e spettacoli di intrattenimento).

Richiamata la consolidata giurisprudenza che ricomprende i costi sostenuti in occasione di fiere tra le spese di pubblicità, la sentenza in commento ribadisce quale è il trattamento fiscale al quale sono assoggettate, specificando che, in tema di reddito d'impresa, l'art. 108 del D.P.R. 917/1986 consente di scegliere solo tra la deduzione integrale immediata delle spese di pubblicità e propaganda nell'esercizio in cui sono state sostenute e quella in quote costanti nell'esercizio stesso e nei quattro anni successivi, sicché al contribuente non spetta uno ius variandi rispetto al vincolante criterio legale e la sua opzione, immodificabile, va mantenuta per tutti gli esercizi tra i quali viene ripartito l'ammortamento (Cass. sent. n. 26179/2014; n.27288/2016).

Nel caso di specie, la società aveva dedotto i costi della partecipazione alle fiere (costi avvenuti integralmente nell'anno 2002) sia nell'esercizio d'impresa relativo al medesimo anno 2002 sia, parzialmente, al 2003: scelta, questa, non autorizzata dal testo unico, sicché correttamente gli Ermellini accolgono l'appello dell'Agenzia delle entrate.

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