Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 28 Settembre 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto di famiglia e minorile

Somme ingenti versate per la ristrutturazione dell’immobile della compagna, vanno restituite al termine della convivenza

 Con la sentenza n. 21479, la II sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi sugli esborsi economici sostenuti da un convivente more uxorio per la ristrutturazione dell'immobile intestato all'ex compagna, ha ritenuto che l'esborso sostenuto dall'uomo fosse estraneo a quelli resi necessari dalla condivisione della vita quotidiana: si è pertanto ammessa l'esperibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento per il recupero delle somme versate a beneficio della donna, non potendo l'ingente somma versata trovare giustificazione nelle condizioni economiche e sociali non elevate delle parti.

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Genova che respingeva la domanda di un uomo volta ad ottenere la di restituzione della somma di Euro 51.645,69, importo corrispondente a quanto da egli pagato per la ristrutturazione ed arredo di un appartamento intestato alla sua ex compagna, ove per qualche anno aveva vissuto con quest'ultima ed il figlio nato dalla loro relazione more uxorio. La richiesta di restituzione era stata proposta a titolo di arricchimento senza causa e/o di indebito oggettivo o ancora, in corso di causa, a titolo di mutuo.

La decisione veniva ribaltata dalla Corte di Appello di Genova: sulla premessa che spetta all'attore l'onere probatorio del fatto costitutivo del diritto alla restituzione, i Giudici di seconda istanza rilevavano che nella fattispecie in esame le deduzioni attoree dimostrassero come il contributo economico offerto per l'acquisto, la ristrutturazione e l'arredamento della casa, avesse determinato un oggettivo arricchimento per la donna, unica titolare dell'immobile, la quale, pertanto, nell'ipotesi di vendita avrebbe tratto profitto dal conferimento effettuato dall'ex compagno. 

Sotto altro aspetto, la sentenza evidenziava come siffatto arricchimento non trovava giustificazione nell'obbligazione naturale, in quanto l'importo versato per contribuire alla ristrutturazione era stato effettuato nel contesto di una vita familiare in comune protrattasi per un breve periodo di tempo, in mancanza di condizioni di agiatezza e benessere: alla luce di tali evidenze, la dazione appariva "significativa" e, pertanto, estranea agli esborsi necessari alla condivisione della vita quotidiana. Conseguentemente, ad avviso della Corte, il mancato recupero dell'importo, una volta cessata la convivenza, configurava un ingiustificato impoverimento del solvens ed un ingiustificato arricchimento dell'accipiens che quale proprietaria dell'immobile continuava a fruirne e poteva liberamente disporne.

La donna, ricorrendo in Cassazione, rilevava che la Corte territoriale aveva errato nell'accogliere la domanda di arricchimento senza causa, difettandone il requisito della sussidiarietà, in quanto l'ex compagno avrebbe dovuto promuovere altre azioni per conseguire la restituzione dell'importo richiesto.

In seconda istanza, la ricorrente evidenziava l'errore della Corte territoriale, la quale non aveva considerato talune circostanze di fatto tali da far ritenere che quella dazione fosse proporzionale ed adeguata a quanto dovuto per la condivisione della vita quotidiana: in particolare la donna faceva riferimento all'esistenza del figlio nato dalla relazione sentimentale fra le parti, affidato alla madre e con lei convivente nella casa acquistata ed arredata con il contributo del padre, suo ex compagno, a seguito di un accordo in tal senso raggiunto dalle parti e recepito dal Tribunale per i Minorenni. 

La Cassazione non condivide le censure sollevate dal ricorso.

In relazione alla proponibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento, esperibile solo in via sussidiaria quando gli altri rimedi previsti dall'ordinamento non siano promuovibili, gli Ermellini evidenziano come, nel caso sottoposto al loro esame, tale azione fosse esperibile.

Difatti, la parte attrice fin dall'inizio del giudizio di merito aveva impostato la domanda in termini di indebito pagamento o, in subordine, di arricchimento senza causa.

Il giudice di prime cure riteneva infondata, per difetto dei presupposti, l'azione di pagamento dell'indebito, sicché – esaminata ed esclusa anche la possibilità di qualificare l'attribuzione patrimoniale in termini di obbligazione naturale – risultava applicabile al caso di specie la generale azione di arricchimento senza causa.

Sotto tale aspetto, quindi, la decisione impugnata ben ha ammesso l'esperibilità del rimedio di cui all'art. 2041 c.c., conformemente con il principio enucleato dal giudice di legittimità a mente del quale l'azione di ingiustificato arricchimento può essere proposta laddove manchi qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell'impoverito e sussisti l'unicità del fatto causativo dell'impoverimento (unicità presente quando la prestazione resa dall'impoverito sia andata a vantaggio dell'arricchito), con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto, nei quali l'arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell'impoverito (Cass. Sez. un. 24772/2008).

Con specifico riferimento alla seconda censura della ricorrente in merito alla proporzionalità della dazione, la Cassazione ritiene congrua la conclusione della Corte territoriale che, considerate le condizioni economiche e sociali non elevate delle parti, ha ritenuto che l'esborso sostenuto dall'uomo fosse estraneo a quelli resi necessari dalla condivisione della vita quotidiana, con la conseguenza che il mancato recupero di detta somma configurava l'ingiustizia dell'arricchimento da parte della donna.

In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso, ma compensa le spese, sussistendo giusti motivi di compensazione sia avuto riguardo al rapporto personale di convivenza intercorso fra le parti che alla difficile prognosi sull'esito giuridico della causa. 

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