Con l'ordinanza n. 1079 depositata lo scorso 21 gennaio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a statuire sull'ammissibilità di un gravame proposto da una donna avverso la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha fornito importanti precisazioni sulla legittimazione passiva nel caso in cui l'ex coniuge sia deceduto e non vi siano chiamati all'eredità.
Si è difatti specificato che "qualora gli eredi della parte deceduta abbiano rinunciato all'eredità o non l'abbiano accettata e non vi sono altri chiamati, non si esclude la possibilità d'individuare altri legittimati, trovando applicazione o la disciplina della giacenza dell'eredità, dettata dagli artt. 528 e seguenti del c.c. (ai sensi della quale il curatore dell'eredità giacente risulta passivamente legittimato nei riguardi di tutte le azioni proponibili nei confronti dell'erede) o la disposizione di cui all'art. 586 c.c.(a norma del quale, in caso di rinuncia di tutti i chiamati ed in assenza di altri successibili, l'eredita è devoluta di diritto, senza bisogno di accettazione, allo Stato, il quale non può rinunciarvi)".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Trieste, su ricorso congiunto dei coniugi, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza nulla riconoscere alla donna quale assegno divorzile.
Prima del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, si verificava il decesso del marito, così l'ex moglie proponeva appello affinché si dichiarasse la nullità o inefficacia della pronunzia di divorzio: interesse della donna era quello di conservare lo status di coniuge superstite, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità, che non avrebbe potuto esserle altrimenti accordata, non risultando titolare dell'assegno divorzile.
La Corte di Appello di Trieste dichiarava inammissibile il gravame proposto dalla donna, in quanto proposta nei confronti del coniuge deceduto, anziché degli eredi, e notificata nel domicilio eletto presso il procuratore costituito nel giudizio di primo grado, nonostante la mancata costituzione dello stesso nel giudizio di appello.
Ricorrendo in Cassazione, la donna denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 149 c.c., comma 1, sostenendo che, nel dichiarare inammissibile il gravame, la Corte d'appello non aveva tenuto conto del suo interesse ad ottenere la dichiarazione di nullità o inefficacia della pronunzia di divorzio e della cessazione della materia del contendere; evidenziava, inoltre, che l'appello non poteva essere proposto nei confronti dell'unica figlia nata dal matrimonio, avendo quest'ultima rinunciato all'eredità del padre, in pendenza del termine per l'impugnazione, e non potendo quindi trovare applicazione l'art. 110 c.p.c..
La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente.
La Corte evidenzia come, in tema di divorzio, qualora una delle parti sia deceduta nel corso del giudizio, anche in pendenza del termine per l'impugnazione, è ammissibile il gravame interposto dal coniuge superstite avverso la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, al fine di ottenere una pronuncia di cessazione della materia del contendere: difatti, pur avendo il giudizio ad oggetto un diritto non trasmissibile agli eredi della parte deceduta, la legittimazione a resistere spetta a questi ultimi ai sensi dell'art. 110 c.p.c., in qualità di successori a titolo universale.
Qualora gli eredi della parte deceduta abbiano rinunciato all'eredità o non l'abbiano accettata e non vi sono altri chiamati, non si esclude la possibilità d'individuare altri legittimati, trovando applicazione o la disciplina della giacenza dell'eredità, dettata dagli artt. 528 e seguenti del c.c. (ai sensi della quale il curatore dell'eredità giacente risulta passivamente legittimato nei riguardi di tutte le azioni proponibili nei confronti dell'erede) o la disposizione di cui all'art. 586 c.c.(a norma del quale, in caso di rinuncia di tutti i chiamati ed in assenza di altri successibili, l'eredita è devoluta di diritto, senza bisogno di accettazione, allo Stato, il quale non può rinunciarvi).
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte evidenzia come correttamente la sentenza impugnata abbia dichiarato inammissibile il ricorso, non potendo trovare giustificazione la tesi della ricorrente secondo cui la mancata proposizione del ricorso per cassazione nei confronti degli eredi era stata dettata dalla circostanza per la quale l'unica figlia nata dal matrimonio aveva rinunciato all'eredità, così essendo priva della legittimazione a resistere, per non essere più in possesso della qualità di erede.
Difatti, non essendosi costituito il procuratore dell'appellato, non poteva operare, ai fini della notificazione del ricorso per cassazione, il principio dell'ultrattività del mandato, con la conseguenza che, l'atto d'impugnazione avrebbe dovuto essere notificato agli eredi dello stesso, presso il loro domicilio effettivo.
In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso con condanna della ricorrente al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.