La comandante della Sea Watch, Carola Rackete, portata via poco fa dalla Guardia di Finanza, è in stato d'arresto. L'accusa nei suoi confronti, secondo quanto si apprende, è violazione dell'Articolo 1100 del codice della navigazione: resistenza o violenza contro nave da guerra, un reato che prevede una pena dai tre ai 10 anni di reclusione.
"La comandante Carola non aveva altra scelta - dice Giorgia Linardi, portavoce di Sae Watch Italia - da 36 ore aveva dichiarato lo stato di necessità che le autorità italiane avevano ignorato". "E' stata una decisione disperata - dicono i legali della Ong tedesca Leonardo Marino e Alessandro Gamberini - per una situazione che era diventata disperata".
Il reato contestato alla comandante è quello previsto e punito dall'articolo 1100 del Codice della Navigazione, secondo cui "Il comandante o l'ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla metà". Pertanto, se pure manchi ancora l'emissione di un fermo giudiziario nei confronti degli altri membri dell'equipaggio, si può ragionevolmente ipotizzare che anche a carico di costoro possa essere aperto un procedimento.
Tra i presenti allo sbarco, qualcuno ha avanzato perplessità in ordine alla sussistenza degli elementi sintomatici del reato ex articolo 1100 Codice della Navigazione, dato che le imbarcazioni della Guardia di Finanza - che anche nella notte, durante i movimenti della Sea Watch verso il porto avrebbero cercato in ogni modo di impedire l'attracco, correndo tuttavia il rischio di essere speronate - non sarebbero propriamente "navi da guerra". In realtà, però, il richiamo della disposizione sembra oltremodo giustificato dal precedente costituito da Cass. pen. Sez. III, (ud. 14-06-2006) 21-09-2006, n. 31403.
In quell'occasione, La Suprema Corte ha pienamente ravvisato il reato de quo "essendo pacifico che l'imbarcazione dell'imputato aveva concretamente manovrato per opporsi all'inseguimento e all'abbordaggio da parte della motovedetta della Guardia di Finanza (OMISSIS)", esattamente come nel caso di specie.
Rispetto agli argomenti della difesa, che, anche di fronte al Giudice di legittimità, chiedevano accertarsi la non ricorrenza della figura criminosa di cui all'articolo 1100 Codice della Navigazione trattandosi di imbarcazione della guardia di finanza, la Suprema Corte ha avuto modo di rilevare che "indubbia è infatti la qualifica di nave da guerra attribuita a tale motovedetta, non solo perchè essa era nell'esercizio di funzioni di polizia marittima, e risultava comandata ed equipaggiata da personale militare, ma soprattutto perchè è lo stesso legislatore che indirettamente iscrive il naviglio della Guardia di Finanza in questa categoria, quando nella L. 13 dicembre 1956, n. 1409, art. 6, (norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi) punisce gli atti di resistenza o di violenza contro tale naviglio con le stesse pene stabilite dall'art. 1100 c.n., per la resistenza e violenza contro una nave da guerra".
Ma, a ben vedere, potrebbero essere almeno altri due i reati che potrebbero essere contestati alla comandante e all'equipaggio. Dall'art. 1099 c.n. (rifiuto di obbedienza a nave da guerra), considerato che, alla stregua di un altro precedente della Suprema Corte, "una motovedetta armata della Guardia di Finanza, in servizio di polizia marittima, deve essere considerata nave da guerra" (Cass. Sez. 3^, n. 9978 del 30.6.1987, Morleo, rv. 176694). Così come il delitto di resistenza a pubblico ufficiale di cui all'art. 337 c.p., che per giurisprudenza costante di concorre con quello di cui all'art. 1100 c.n., in ragione della diversità del bene tutelato, individuato rispettivamente nella tutela fisica o morale del pubblico ufficiale e nella tutela della polizia marittima.
Ne sapremo di più nelle prossime ore.