Di patrizia ritondale su Sabato, 30 Marzo 2019
Categoria: Giurisprudenza di Merito

Scioglimento dell’unione civile omosessuale: il Tribunale di Pordenone riconosce l’assegno alla parte economicamente più debole

Unioni civili per gli omosessuali: un tema molto delicato, sul quale si sono spese tante parole e critiche; un tema che ha percorso una via crucis e che ha trovato nella legge Cirinnà (legge n. 76 del 20 maggio 2016) un punto di partenza per l'affermazione di alcuni diritti che già erano stati riconosciuti in via giurisprudenziale. Dal diritto vivente (quello dei Giudici) al diritto scritto (quello del legislatore). Correva l'anno 2012 quando la prima sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4184, riconobbe come inviolabile il diritto alla vita familiare anche per le coppie omosessuali. L'attesa fu ancora lunga, perché si dovette attendere fino all'anno 2016 per partorire una disciplina, seppure minimale, delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, corredata da un'estensione alle coppie omosessuali di una parte di quei diritti e di quei doveri che il codice civile rispettivamente riconosce e pone a carico delle coppie eterosessuali coniugate. 

E ciononostante la strada da percorrere è ancora molto lunga.

L'ordinanza in commento (Tribunale di Pordenone, 13 marzo 2019) è degna di nota per il fatto di avere, per la prima volta, applicato allo scioglimento dell'unione civile di una coppia omosessuale, non tanto la l. 898/1970 (che, lo si ricorda, è espressamente richiamata dalla l. 76/2016), quanto i medesimi principi interpretativi affermati dalla giurisprudenza in tema di riconoscimento e di quantificazione dell'assegno divorzile per le coppie eterosessuali.

Questo il fatto che ha dato origine al provvedimento in esame. Tizia e Caia conviventi "di fatto" dall'autunno del 2013, alla fine del 2016 (ndr., dopo l'entrata in vigore della legge Cirinnà) decidono di ufficializzare la loro relazione e di unirsi civilmente con atto trascritto nel registro degli atti di matrimonio del loro Comune di residenza. Peraltro, dopo qualche tempo, il rapporto di coppia inizia a subire delle incrinature che, nell'anno 2018, sfociano in una crisi irrimediabile, tanto da rendere necessario il ricorso al Tribunale per ottenere lo scioglimento dell'instaurato legame. In tale sede Tizia asserisce di essere la parte economicamente più debole del rapporto e, conseguentemente, richiede a Caia la corresponsione di un assegno per il proprio sostentamento. Fissata l'udienza di comparizione personale delle parti, il Presidente del Tribunale, preso atto che la riconciliazione non era praticabile e che le unioniste non intendevano pervenire ad un accordo, dovendo adottare i provvedimenti provvisori, accoglie la richiesta di Tizia, ritenendo nella specie applicabili - ed è in questo che l'ordinanza si segnala per innovatività - le medesime argomentazioni interpretative espresse in tema di assegno divorzile dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18287/2018; sentenza che, come noto, ha laconicamente statuito come la sussistenza del diritto al contributo economico in parola debba essere valutato in base ad un criterio composito che tenga conto di una pluralità di fattori. Segnatamente: le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi, la durata del matrimonio e l'apporto fornito dalla parte più debole al patrimonio comune della coppia.

Orbene, il Tribunale di Pordenone, applicando questi criteri al caso di specie, ha ritenuto, non solo che Tizia, in quanto soggetto economicamente più debole della coppia, avesse diritto ad un assegno di "mantenimento", ma soprattutto che, ai fini di una quantificazione di tale contributo, si dovesse prendere in considerazione anche il periodo di convivenza precedente alla emanazione della legge n. 76/2016, valorizzando così la fase di convivenza di fatto precedente alla celebrazione dell'unione civile; ciò in quanto - si legge nell'ordinanza - "la coppia solo con la promulgazione della legge Cirinnà ha potuto 'legalizzare' il proprio rapporto, non essendo possibile in epoca precedente contrarre in Italia tra loro una qualsiasi forma di matrimonio".

Chiaro, dunque, che per il Giudice del merito la parità di trattamento tra coppie eterosessuali ed omosessuali non possa rimanere un auspicio sancito in via astratta sulla carta, ma debba trovare concretezza anche in via attuativa nelle aule dei Tribunali; una concretezza per la cui realizzazione non è sufficiente attenersi al dettato normativo, essendo viceversa necessario aprire le porte ai principi giurisprudenziali consolidatisi su istituti analoghi. Questo impone un'applicazione costituzionalmente orientata della legge.

E così, come nella nota teoria dei corsi e ricorsi storici, si torna al punto di partenza: il diritto vivente.