Guerra aperta, in Emilia Romagna, tra il presidente del Tar di Bologna, Giuseppe Di Nunzio, e l'Ordine degli avvocati. Una guerra giocata a suon di comunicati stampa, note formali lette nel corso di pubbliche cerimonie e richieste di intervento e di provvedimenti inoltrate ai massimi organi della Giustizia amministrativa.
Oggetto della contesa il mancato rispetto, affermano gli avvocati, dei più elementari diritti della difesa, che si sostanziano, addirittura, nel reiterato ammonimento, assolutamente non contemplato da alcuna norma procedurale, di contenere le discussioni in un minuto.
Sì, un minuto, rectius 60 secondi, gentilmente concessi agli avvocati per riassumere in una discussione processi anche di rilevante portata. Un minuto all'interno del quale si sarebbe obbligati a ricostruire l'iter di un procedimento magari risalente a 5,10 ed anche 15 anni prima, un minuto come ultima chance attorno alla quale può consumarsi il destino, compreso il possibile disastro, di una persona, di un nucleo familiare, di un'impresa.
Sembra incredibile, ma, secondo gli avvocati, tutto questo sta accadendo in uno dei luoghi che, per antonomasia, sono sinonimo di espansione massima dei diritti ed efficienza delle istituzioni, comprese quelle giudiziarie, che, invece, da questa vicenda escono indebolite e molto meno credibili.
"Signor Presidente (Giuseppe Di Nunzio, ndr), le è ben noto che l'avvocatura istituzionale ha formalmente e vibratamente lamentato che la cortesia nei propri riguardi, in questo Tribunale, è attenzione largamente sconosciuta. Come lei sa, ci siamo visti costretti a segnalare, innanzitutto a lei ma anche alla Presidenza del Consiglio di Stato ed al Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, comportamenti ripetuti di mancanza di rispetto del ruolo e della funzione dei difensori, in spregio al principio della corretta collaborazione nei rapporti fra magistratura ed avvocatura, e finanche all'elementare buona educazione".
Chi ha scritto e firmato questa nota non è un qualsiasi avvocato, magari con una questione personale con il presidente del tribunale, ma il presidente dell'ordine degli avvocati di Bologna, Giovanni Berti Arnoaldi Veli, che ha scritto a nome di tutti i colleghi del foro, e c'è da presumere di buona parte di quelli dell'intera regione, al presidente del Tar felsineo, Giuseppe Di Nunzio, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario amministrativo.
Una lettera che è è stata letta, alla presenza delle massime autorità e di una platea foltissima, da Beatrice Belli, avvocato consigliere dell'Ordine: "Come, per esempio essere costretti, anche con modi sgarbati e con atteggiamenti platealmente insofferenti, orologio alla mano, a contenere le discussioni nel tempo di un minuto. Sì, un minuto: sessanta secondi nei quali, ovviamente, non si può condensare alcuna discussione. Forse avrebbe più senso, invece che perdersi in affannose rincorse di sintesi improbabili, semplicemente tutte le volte celebrare un minuto di silenzio in commemorazione della morte della giustizia e della smarrita dignità della difesa".
"Gli avvocati hanno scritto al presidente del Consiglio di Stato, al Consiglio di presidenza e a me, non hanno scritto a me e per conoscenza al presidente del Consiglio di Stato e al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Praticamente hanno scritto direttamente ai miei superiori che hanno ovviamente aperto un'istruttoria. Per fare un paragone militare comprensibile a chiunque, se chiedo di rispondermi su una cosa a un sergente e a un colonnello, il sergente non può rispondermi se non quando lo decide il colonnello. Sulla cortesia, ecco, chi parla di cortesia? Beh, non dico altro".
Questa, sostanzialmente, la replica del presidente del Tar dell'Emilia-Romagna, Giuseppe Di Nunzio, che si è anche lamentato "della lunghezza degli atti processuali, sia di quelli del giudice sia delle parti. Tale prolissità è andata aumentando con la diffusione dei metodi informatici di scrittura, che ampliano smisuratamente i testi con l'uso del cosiddetto copia e incolla".
Una replica che, al di là della "periferica" quaestio riguardante il grado, di soldato semplice o di generale di corpo d'armata, di cui l'eccellentissimo presidente si ritenesse rivestito, appare, a nostro sommesso avviso, inconferente riguardo il merito del problema, oltre che inutilmente provocatoria. E che è intervenuta appena qualche giorno prima che il procuratore generale della Suprema Corte di Cassazione, riferendosi ad altre vicende giudiziarie, avesse pubblicamente e quando mai opportunamente censurato il malcostume di alcuni magistrati di indire conferenze stampa e parlare con i giornalisti, ribadendo che il loro esclusivo compito, per il quale siedono in un pretorio e percepiscono una retribuzione, è concentrarsi sui propri compiti nel rispetto della legge e di tutte le parti processuali.