Di Rosalia Ruggieri su Lunedì, 09 Marzo 2020
Categoria: Medici e Sanitari

Ritardata diagnosi, Cassazione: ha rilievo penale anche se non c’è un aggravamento della lesione

Con la pronuncia n. 5315 dello scorso 10 febbraio, la IV sezione civile della Corte di Cassazione – chiamata a pronunciarsi su un caso di colpa medica legato al ritardo diagnostico di una lesione fratturativa del corpo vertebrale L1, il cui esito patologico si sarebbe verificato indipendentemente dall'omessa diagnosi tempestiva – ha cassato la sentenza di assoluzione, evidenziando la necessità di rivalutare l'incidenza della condotta medica sul differimento della guarigione della persona offesa.

Si è difatti statuito che ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce ex se un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando generi la dilatazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di alcuni medici di un presidio ospedaliero, accusati del reato di cui all'art. 590 c.p. per non avere diagnosticato, l'esistenza di una lesione fratturativa del corpo vertebrale L1, omettendo, di conseguenza, di porre in essere gli accertamenti al fine di assicurare al paziente la guarigione, determinando il ritardo di trenta giorni nell'individuazione della terapia adeguata.

Il Tribunale di Messina emetteva sentenza di condanna, riformata in secondo grado dalla Corte di Appello di Messina, la quale assolveva i medici dal reato contestatogli, con la formula 'perché il fatto non sussiste'.

I giudici di secondo grado – pur avendo accertato l'esistenza di una negligente condotta medica, per difetto della predisposizione dei necessari approfondimenti diagnostici – escludevano la rilevanza dell'errore diagnostico sul processo patologico, essendo stato accertato dai consulenti che i lievi esiti algodisfunzionali ascrivibili al tipo di frattura lombare fossero primitivamente ascrivibili all'evento traumatico ed indipendenti dall'inadeguato trattamento. 

Ne derivava, secondo il collegio giudicante, che la pur censurabile condotta degli imputati non aveva cagionato alcuna lesione né alcuna malattia penalmente rilevante, dovendo ricomprendersi nella nozione di malattia solo quelle alterazioni comportanti una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa: secondo il collegio, infatti, nel caso di specie non si era verificata alcuna limitazione funzionale o processo patologico diverso da quello che si sarebbe comunque verificato anche qualora gli imputati avessero tenuto il comportamento doveroso.

Avverso tale sentenza ricorreva in Cassazione la parte civile, sottolineando l'evidente rapporto fra l'errore diagnostico commesso dagli imputati ed il prolungamento della malattia.

La difesa del ricorrente – partendo dalla premessa secondo cui che la nozione di malattia, come risultante dalla giurisprudenza di legittimità e a cui fa riferimento l'art. 590 c.p. non comprende tutte le alterazioni anatomiche, che possono anche mancare, ma le alterazioni da cui deriva un limite funzionale o un significativo processo patologico o, ancora, una compromissione di funzioni dell'organismo – evidenziava come la Corte territoriale avesse i travisato i principii giurisprudenziali laddove aveva affermato la sussistenza della malattia, rilevante ai fini delle lesioni colpose, solo a fronte di alterazioni anatomo -funzionali tali da incidere sulla totale abilità psico-fisica del soggetto, così escludendo che il prolungamento di uno stato morboso, dovuto ad errore diagnostico ed al ritardo nella predisposizione di cure adeguate, potesse qualificarsi come malattia, ai sensi dell'art. 582 c.p..

La Cassazione condivide le censure formulate. 

La Cassazione premette che la particolarità del caso in esame sta nel fatto che, a fronte di una non contestata condotta colposa dei sanitari, non si è prodotto un aggravamento della perturbazione funzionale causata dalle lesioni derivate dalla caduta; occorre quindi comprendere se il ritardo nella diagnosi e nel trattamento abbia causato una malattia penalmente rilevante.

Secondo gli Ermellini, nel caso di specie, il ritardo nella diagnosi ha causato una malattia penalmente rilevante alla luce del rapporto fra il concetto giuridico di lesioni e quello di malattia.

La malattia, infatti, nella sua nozione penalistica, non è il post factum della lesione, ma ne costituisce il nucleo intrinseco: l'ordinamento penale incentra la sanzione sulla durata della malattia (più o meno di quaranta giorni) o sulla specificità dell'alterazione funzionale che essa comporta (indebolimento o perdita di un senso o di un organo, perdita di un arto, grave compromissione o perdita della favella, della capacità di procreare, ecc.).

Ne deriva che l'ordinamento, volendo ancorare la pena al tempo della durata della malattia e misurando la durata malattia come tempo necessario alla guarigione o al consolidamento definitivo degli esiti della lesione, assegna al tempo un 'peso' che incide sulla 'quantità della sanzione'; pertanto, ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce ex se un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando generi la dilatazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute.

Nel caso di specie, l'omessa diagnosi del crollo della vertebra e della frattura pluriframmentata, con conseguente omessa tempestiva prescrizione del trattamento di riduzione (busto ortopedico e fisioterapia), ha comportato l'adozione di misure di trattamento con un ritardo di trenta giorni: ne consegue, quindi, la necessità di rivalutare l'incidenza della condotta colposa degli imputati sul differimento della guarigione della persona offesa.

In virtù di tanto, la Corte annulla gli effetti civili la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, al giudice civile competente per valore. 

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