Di Redazione su Venerdì, 16 Marzo 2018
Categoria: Leggi dello Stato

Riforma carceri è realtà, approvato decreto, in molti fuori e per chi rimane trattamenti 3.0

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della giustizia Andrea Orlando, ha approvato, in secondo esame preliminare, un decreto legislativo che, in attuazione della legge sulla riforma della giustizia penale (legge 23 giugno 2017, n. 103), introduce disposizioni volte a riformare l´ordinamento penitenziario.

Il provvedimento ha principalmente l´obiettivo di rendere più attuale l´ordinamento penitenziario previsto dalla riforma del 1975, per adeguarlo ai successivi orientamenti della giurisprudenza di Corte Costituzionale, Corte di Cassazione e Corti europee, e mira, in particolare, a:
-ridurre il ricorso al carcere in favore di soluzioni che, senza indebolire la sicurezza della collettività, riportino al centro del sistema la finalità rieducativa della pena indicata dall´art. 27 della Costituzione;
-razionalizzare le attività degli uffici preposti alla gestione del settore penitenziario, restituendo efficienza al sistema, riducendo i tempi procedimentali e risparmiando sui costi;
-diminuire il sovraffollamento, sia assegnando formalmente la priorità del sistema penitenziario italiano alle misure alternative al carcere, sia potenziando il trattamento del detenuto e il suo reinserimento sociale in modo da arginare il fenomeno della recidiva;
-valorizzare il ruolo della Polizia Penitenziaria, ampliando lo spettro delle sue competenze.



Il decreto è suddiviso in 6 parti, corrispondenti ad altrettanti capi, dedicate alla riforma dell´assistenza sanitaria, alla semplificazione dei procedimenti, all´eliminazione di automatismi e preclusioni nel trattamento penitenziario, alle misure alternative, al volontariato e alla vita penitenziaria.

Il testo ha ottenuto il parere favorevole della Conferenza unificata e tiene conto dei pareri espressi dalle competenti Commissioni parlamentari.

Le dichiarazioni del ministro guardasigilli Andrea Orlando
"Il testo deve tornare in Commissione - ha spiegato il ministro - perché non abbiamo recepito alcune indicazioni contenute nel parere della commissione Giustizia del Senato. Questo passaggio non può in ogni caso intaccare il testo". A chi gli chiede se lo schema di decreto sarà trasmesso alle Commissioni parlamentari o alla Commissione speciale, Orlando ha risposto: "Credo alla Commissione speciale, ma su questo valuterà il ministero dei Rapporti con il Parlamento".

"Questo non è un provvedimento salva-ladri, uno svuota-carceri: da domani non ci sarà nessun ladro in più in giro", ha detto Orlando. "Qualcuno - ha aggiunto - tenterà di cavalcare queste paure. Ma da domani non uscirà nessuno dal carcere, da domani un giudice potrà valutare il comportamento del detenuto e ammetterlo a misure che gli consentono di restituire qualcosa di quello che ha tolto alla società. Serve ad abbattere la recidiva".

La recente pronuncia della Consulta
L´approvazione del decreto da parte del Consiglio dei Ministri segue di poche settimane un altro provvedimento fondamentale in subjecta materia, vale a dire la pronuncia della corte Costituzionale che ha dichiarato l´incostituzionalità di alcune norme, della quale abbiamo dato notizia il giorno stesso della pubblicazione della decisione.

Chi deve scontare una pena, anche residua, fino a 4 anni di carcere ha diritto alla sospensione dello ordine di esecuzione allo scopo di chiedere e ottenere un ffidamento in prova ai servizi sociali, nella versione "allargata" introdotta dal
legislatore nel 2013. È quindi incostituzionale il quinto comma dell´articolo 656 del Codice di procedura penale, che prevede la sospensione solo per pene fino a 3
anni. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 41/2018 (relatore Giorgio Lattanzi), scongiurando così l´effetto "porte girevoli" della norma impugnata, che comportava l´ingresso in carcere per un periodo di alcuni mesi del condannato che avesse titolo per scontare la pena in altra forma.



La sentenza rileva che il legislatore ha creato un "tendenziale parallelismo" tra la sospensione della pena e la possibilità di fruire dell´affidamento in prova, per cui il "filo" che le lega non può essere spezzato senza una ragionevole giustificazione, considerata la "natura servente" della prima rispetto alla misura alternativa.
Tuttavia, all´introduzione dell´affidamento in prova per pene da scontare fino a 4 anni non è seguita, contestualmente, anche una modifica dell´articolo 656 sulla sospensione. Modifica peraltro prevista dalla delega sulla riforma dell´ordinamento penitenziario che però, ha osservato la Corte, ancora non è stata esercitata.

Si tratta quindi di "una incongruità" legislativa che si discosta dal "parallelismo" tra le due misure senza una ragionevole giustificazione. È ovvio che spetta alla discrezionalità del legislatore stabilire le deroghe a questo
parallelismo, in presenza di situazioni particolari che impongono un passaggio in carcere in attesa della decisione sulla richiesta di affidamento (come per i reati che nella valutazione del legislatore sono indice di particolare pericolosità e di reati, come quelli previsti dallo articolo 4 bis della legge 354 del 1975, per i quali la concessione della misura alternativa è soggetta a stringenti condizioni).

In queste ipotesi, le ragioni ostative prevalgono sulla coerenza sistematica e si sottraggono a
censure di incostituzionalità.
Ma in via generale (ovvero per reati che non rientrano nelle deroghe previste) il mancato adeguamento della disposizione censurata "appare di particolare gravità perché è proprio il modo in cui la legge ha configurato un affidamento in prova allargato che reclama, quale corollario, la corrispondente sospensione dello ordine di esecuzione".

I giudici costituzionali non hanno condiviso la tesi dell´Avvocatura secondo cui l´affidamento allargato sarebbe stato introdotto soltanto per i detenuti, allo scopo di svuotare le carceri. Il legislatore "ha esplicitamente optato per la equiparazione tra detenuti e liberi, ai fini dell´accesso alla misura alternativa", ha obiettato la Corte, notando che "si è trattato di una scelta del tutto coerente con lo scopo di deflazionare le carceri, visto che esso si persegue non solo liberando chi le occupa ma anche evitando che vi faccia ingresso chi è libero".

E però, la scelta di consentire un affidamento in prova anche ai condannati con pene tra tre anni e un giorno e quattro anni che si trovano in stato di libertà rimarrebbe senza senso se non venisse anche sospeso l´ordine di esecuzione, perché di fatto la misura non potrebbe che essere applicata dopo l´ingresso in carcere.

Pertanto, omettendo di adeguare la norma "ancillare (quella sulla sospensione, ndr), il legislatore smentisce se stesso, insinuando nell´ordinamento una incongruità sistematica capace di ridurre gran parte dello spazio applicativo
riservato alla normativa principale". Non si tratta – ha concluso la Corte – di "un mero difetto di coordinamento" ma della lesione dell´articolo 3 della Costituzione perché "si è derogato al principio del parallelismo senza adeguata ragione giustificatrice, dando luogo a un trattamento normativo differenziato di situazionida reputarsi eguali quanto alla finalità intrinseca alla sospensione dell´ordine di
esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà personale del condannato".

Di qui l´incostituzionalità dell´articolo 656, comma 5, Cpp "nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l´esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo
di maggiore pena, non superiore a tre anni anziché a quattro anni".