Con l'ordinanza n. 9996 dello scorso 28 maggio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione – chiamata a esaminare un ricorso per Cassazione in cui l'esposizione dei fatti processuali e delle censure si presentava assolutamente farraginosa – ne ha dichiarato l'inammissibilità perché il ricorso, per come era stato redatto, non consentiva l'idonea comprensione della complessiva vicenda processuale.
Si è, quindi, severamente ammonito il legale che aveva redatto quel ricorso con riferimenti ridondanti a fatti e circostanze del tutto irrilevanti ai fini del decidere, specificando che un ricorso così scritto appare incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma, laddove coerenza di contenuti e chiarezza di forma costituiscono l'imprescindibile presupposto perché un ricorso per Cassazione possa essere esaminato e deciso, sia nel nostro ordinamento, che in tutte le legislazioni degli ordinamenti economicamente avanzati.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla proposizione di un ricorso per decreto ingiuntivo con cui un legale chiedeva il pagamento del compenso maturato per l'espletamento di attività professionale nei confronti di una società. Nel corso del giudizio di opposizione la società falliva, sicché il giudizio veniva riassunto dalla curatela fallimentare.
Il Tribunale di Cassino dichiarava improcedibile la domanda proposta in via monitoria dall'avvocato nei confronti del fallimento e revocava il decreto ingiuntivo.
La Corte d'appello di Roma, adìta dal legale, dichiarava inammissibile l'appello per genericità, ex art. 342 c.p.c..
Ricorrendo in Cassazione, l'avvocato presentava un ricorso con ben undici motivi di doglianze, incentrati sulla validità della procura di controparte, sulla procedibilità del giudizio nei confronti del fallito, sulla regolarità dell'istruttoria svolta in primo grado, sulla regolare riassunzione del giudizio di primo grado, sulla regolarità della notifica di taluni atti, sulla valutazione delle prove, sul rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato.
La Cassazione dichiara l'inammissibilità del ricorso.
La Corte premette che i motivi di ricorso sono inammissibili perché sono estranei alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata, che – avendo dichiarato l'appello inammissibile per genericità – consentiva di ricorrere in Cassazione solo con riferimento alla censura di genericità.
Inoltre la Corte rileva come l'esposizione dei fatti processuali e delle censure si presenta con irresolubile farraginosità: il ricorso, infatti, non contempla circostanze rilevanti, quali le ragioni poste a fondamento dell'opposizione a decreto ingiuntivo, quelle di contrasto all'opposizione, ed i motivi di appello, in violazione del precetto di cui all'art. 366, n. 3, c.p.c.; di contro, il ricorso contiene riferimenti a fatti o circostanze introdotti nella narrazione, ma inesplicati, oltre che riferimenti ridondanti a fatti e circostanze del tutto irrilevanti ai fini del decidere.
Un ricorso così scritto, ad avviso della Corte, appare incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma, laddove coerenza di contenuti e chiarezza di forma costituiscono l'imprescindibile presupposto perché un ricorso per Cassazione possa essere esaminato e deciso, sia nel nostro ordinamento, che in tutte le legislazioni degli ordinamenti economicamente avanzati.
Sul punto la Cassazione ricorda che l'art. 3, comma 2, del codice del processo amministrativo (d. lgs. n. 104 del 2010), impone alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica; la "Guida per gli avvocati" approvata dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, prescrive che il ricorso dinanzi ad essa debba essere redatto in modo tale che "una semplice lettura deve consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto".
Nulla di tutto ciò si rinviene nel ricorso portato all'attenzione della Corte.
Questa, tuttavia, non è l'unica pecca dell'atto difensivo del ricorrente.
Il ricorrente, infatti, lamenta che la Corte d'appello si sia genericamente espressa sul gravame, ma né riassume, né trascrive, i termini in cui il proprio atto d'appello era stato formulato.
Sul punto la Corte precisa che denunciare l'erroneità del giudizio di genericità dell'appello è un motivo di ricorso che "si fonda" sull'atto della cui erronea qualificazione il ricorrente si duole, e cioè l'atto d'appello; quando il ricorso si fonda su atti processuali, il ricorrente ha l'onere di "indicarli in modo specifico" nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.) e "indicarli in modo specifico" vuol dire, secondo la costante giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo, indicare in quale fase processuale siano stati prodotti, indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione.
In relazione al caso di specie, di questi oneri, richiesti a pena di inammissibilità, il ricorrente non ne ha assolto alcuno.
In virtù di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento del doppio del contributo unificato dovuto per il ricorso.