Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 02 Agosto 2019
Categoria: Legge e Diritto

Riconciliazione dei coniugi, SC: “Non sono sufficienti incontri occasionali”

Con l'ordinanza n. 20323 depositata lo scorso 26 luglio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, ha rigettato le domande di una donna che, opponendosi alla pronuncia di divorzio, evidenziava come si fosse riconciliata con il marito, essendosi gli stessi rivisti a seguito dell'omologazione della separazione consensuale.

Si è, difatti, precisato che " gli effetti della separazione personale, in mancanza di una dichiarazione espressa di riconciliazione, cessano soltanto col fatto della coabitazione, la quale non può, quindi, ritenersi ripristinata per la sola sussistenza di ripetute occasioni di incontri e di frequentazioni tra i coniugi, ove le stesse non depongano per una reale e concreta ripresa delle relazioni materiali e spirituali costituenti manifestazione ed effetto della rinnovata società coniugale".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla separazione di una coppia di coniugi; il Tribunale di Trani, riscontrando che dalla omologazione della separazione consensuale era decorso il termine triennale previsto dalla legge, dichiarava con sentenza non definitiva lo scioglimento del matrimonio dei coniugi, rigettando le richieste dell'ex moglie secondo cui il termine triennale era stato interrotto per effetto della riconciliazione intervenuta dopo l'omologazione della separazione consensuale.

La donna proponeva appello, dolendosi per non aver il giudice di primo grado, in violazione dell'art. 190 c.p.c., fissato il termine per le memorie, così non consentendole di richiedere la revoca dell'ordinanza di rigetto delle istanze istruttorie dirette a provare la intervenuta riconciliazione.

La Corte di Appello di Bari riteneva fondata la motivazione di rigetto delle predette istanze istruttorie, in quanto ritenute generiche e irrilevanti al fine di provare il ripristino della comunione di vita e di intenti; si precisava, inoltre, come la disposizione di cui all'art. 190 c.p.c. non fosse applicabile al giudizio di divorzio e che, ad ogni modo, la riconciliazione non potesse essere integrata dalla mera ripresa occasionale della coabitazione.

Ricorrendo in Cassazione, la signora censurava la decisione della Corte di merito per violazione e falsa applicazione del principio del contraddittorio e degli articoli. 24 e 111 Cost., 101 e 190 c.p.c, nonché dell'art. 4 comma 12 della legge sul divorzio, per non aver la corte di merito consentito alla ricorrente di provare l'intervenuta riconciliazione: in particolare, la donna richiamava la giurisprudenza secondo cui la ritenuta inapplicabilità dell'art. 190 c.p.c. ai procedimenti di divorzio, con la conseguente mancata assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali, comportasse la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa.

La Cassazione non condivide le difese formulate dal ricorrente.

In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che nel processo di divorzio non trovano applicazione gli artt. 183 e 190 c.p.c., venendo in rilievo la disciplina speciale di cui all'art. 4 della legge sul divorzio, volta ad accelerare la procedura di accertamento dei presupposti dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, al fine di impedire condotte defatigatorie ed ostative del convenuto. In virtù di tanto, è riservata al giudice istruttore la possibilità di rimettere la causa al collegio per l'emissione della sentenza non definitiva relativa allo "status" quando la causa debba proseguire per la determinazione dell'assegno. 

 Con specifico riferimento al caso di specie gli Ermellini, oltre a voler dare continuità alla citata giurisprudenza, ribadiscono come l'asserita lesione del diritto di difesa lamentata dal ricorrente non è in realtà sussistente, né sotto profilo processuale (per il richiamato principio giurisprudenziale) né sotto il profilo sostanziale.

In relazione al profilo processuale, la mancata assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali, soprattutto rispetto alla mancata concessione dei termini di cui all'art. 183, sesto comma, c.p.c., richiede l'allegazione del pregiudizio derivato da tale mancata assegnazione e la prova in concreto della lesione del diritto di difesa, essendo altrimenti il gravame inammissibile per difetto d'interesse.

Nel caso concreto, la ricorrente non può aver subito alcun concreto pregiudizio, posto che tra i coniugi non è intervenuta alcuna riconciliazione.

Infatti, in relazione al profilo sostanziale, la giurisprudenza ha specificato che, in forza dell'art. 157 c.c., gli effetti della separazione personale, in mancanza di una dichiarazione espressa di riconciliazione, cessano soltanto col fatto della coabitazione, la quale non può, quindi, ritenersi ripristinata per la sola sussistenza di ripetute occasioni di incontri e di frequentazioni tra i coniugi, ove le stesse non depongano per una reale e concreta ripresa delle relazioni materiali e spirituali costituenti manifestazione ed effetto della rinnovata società coniugale.

E', quindi, onere per la parte che ha interesse a far accertare l'avvenuta riconciliazione, fornirne una prova piena e incontrovertibile; spetta al giudice del merito valutare se le prove addotte siano idonee a raggiungere tale scopo e, nel caso di specie, entrambi i gradi del giudizio di merito hanno escluso, con valutazione che non può essere oggetto di sindacato di legittimità, che gli occasionali incontri intervenuti tra i coniugi fossero indicativi di una loro riconciliazione.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso. 

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