Con la recente pronuncia del 25 giugno 2018 in tema di responsabilità medica, la seconda sezione civile del Tribunale Ordinario di Torre Annunziata ha ricostruito i passaggi attraverso i quali giungere all'accertamento della responsabilità per i danni causati a seguito di un intervento mal eseguito, specificando che il sanitario risponde anche in caso di colpa lieve, qualora l'intervento da lui praticato non rientri tra quelli non ancora non sperimentati o non ancora dibattuti con riferimento ai metodi terapeutici da eseguire.
Il caso sottoposto all'attenzione del Tribunale prende avvio con la citazione di una signora la quale conveniva in giudizio una Clinica affinché ne fosse accertata la responsabilità in relazione ai danni subiti a causa di un intervento chirurgico di timpano plastica aperta a destra, cui era seguita una paralisi del nervo facciale a destra.
Costituendosi in giudizio, la Clinica rilevava che l'intervento era di particolare difficoltà e che, pertanto, alla fattispecie andava applicato l'art. 2236 c.c. che delimita la responsabilità del medico in ipotesi di dolo o colpa grave; eccepiva, inoltre, il proprio difetto di legittimazione passiva, atteso che nessuna contestazione sotto il profilo strutturale ed organizzativo poteva essere mosso alla stessa e, pertanto, chiedeva di chiamare in causa il dottore che aveva eseguito l'intervento.
Si costituiva il dottore che impugnava la domanda per infondatezza, eccependo preliminarmente la prescrizione del diritto azionato dalla attrice per decorso di 5 anni; chiamava inoltre in garanzia la propria assicurazione, la quale tuttavia in giudizio eccepiva l'inoperatività della polizza per la presenza della clausola claims made.
Il Tribunale accoglie la domanda dell'attrice. La pronuncia si segnala perché, in vista delle plurime eccezioni avanzate, affronta ad ampio raggio la tematica della responsabilità medica, soffermandosi su tutti gli aspetti di maggior interesse e oggetto di ampio dibattito.
In primo luogo, respingendo l'eccezione preliminare di prescrizione sollevata dal medico, il Tribunale ricorda che – così come la responsabilità della struttura sanitaria è contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale comporta la conclusione di un contratto – anche l'obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale", ha natura contrattuale, con la conseguenza che il termine di prescrizione dell'azione contrattuale, anche nei confronti del medico, è decennale ex art. 2946 c.c.
Stante la natura contrattuale della responsabilità, il danneggiato deve fornire la prova del cosiddetto contatto sociale e dell'aggravamento della situazione patologica e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligata la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano derivati da un evento imprevisto ed imprevedibile ( cfr. Cass. n. 975 del 2009).
Il giudice di prime cure evidenzia, quindi, che per di giungere ad una declaratoria di responsabilità per inadempimento contrattuale del medico e della struttura sanitaria è essenziale, nel caso di specie, analizzare la sussistenza o meno, del nesso di causalità tra condotta (attiva od omissiva) ed evento: dalle risultanze dell'espletata ctu è emerso che la paralisi del facciale si era verificata a causa della lesione, provocata dal medico chirurgo durante il primo intervento, del nervo facciale, ragion per cui risulta confermato il nesso di causalità tra l'operato del medico e l'evento.
In secondo luogo è necessario valutare i profili inerenti alla colpa e alla diligenza richiesta.
La ctu, infatti, ha sottolineato come, nonostante l'errore compiuto, il medico avesse tenuto una condotta conforme ai parametri di diligenza e prudenza; il Tribunale, disattendendo le risultanze della consulenza, ravvisa invece profili di colpa: premesso che l'obbligazione del medico è una tipica obbligazione di mezzi, il grado di diligenza richiesto è quella di cui al secondo comma dell'art. 1176 il quale statuisce che la diligenza del professionista va valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata.
Nel caso di specie, si evidenzia che l'inadempimento da parte del medico è consistito nell'aver tenuto un atteggiamento non conforme alla diligenza qualificata richiesta; la sua è stata una responsabilità piena, di cui risponde anche in caso di colpa lieve atteso che limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c. non può operare nel caso di specie, non trattandosi di un caso non sperimentato o non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da eseguire.
Accertata la responsabilità del medico, il Giudice di Torre Annunziata condanna in solido anche la Clinica, dovendosi ritenere l'estensione automatica della domanda originaria anche al terzo chiamato: e, difatti, nell'ipotesi in cui un terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto come soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, la domanda si estende automaticamente ad esso, senza necessità di espressa istanza, dal momento che il giudizio verte sull'individuazione del responsabile sulla base di un rapporto obbligatorio (Cass. civ. 6.4.2016 n. 6623).
Da ultimo, superando la doglianza sull'inoperatività della polizza per la presenza della clausola claims made, il Tribunale ritiene tale clausola vessatoria e, pertanto, obbliga l'assicurazione a corrispondere al medico le somme cui viene condannato a titolo di risarcimento danni.