Con la sentenza n. 1943 dello scorso 10 settembre, il Tribunale di Torre Annunziata, pronunciandosi sul diritto al risarcimento del danno per responsabilità medica, ha compiuto una interessante disamina sulla posizione vantata dagli eredi della vittima, analizzando a quali condizioni l'istante può avanzare pretese risarcitorie e quali sono i danni che possono essere oggetto di risarcimento, sia iure hereditatis che iure proprio.
Nel caso sottoposto alla sua attenzione, il Giudice di Torre Annunziata ha analizzato la responsabilità di una struttura sanitaria per il decesso di un uomo che, affetto da dolori lancinanti al torace, veniva dimesso dopo poche ore dal suo ingresso al pronto soccorso, senza che fosse stato eseguito alcun approfondimento clinico o diagnostico; ne seguiva il decesso il giorno successivo, per un infarto acuto del miocardio.
Gli eredi della vittima, adito il Tribunale, chiedevano l'accertamento della responsabilità della struttura ospedaliera e, conseguentemente, il risarcimento per tutti i danni, patrimoniali e non, patiti sia iure proprio che iure hereditatis.
In particolare – oltre a chiedere il risarcimento, iure hereditatis, dei danni subiti dal loro congiunto – gli istanti, figli e nipoti del de cuius, lamentavano di aver subito un danno non patrimoniale per la perdita del loro congiunto; sostenevano inoltre di aver perso la quota di pensione ad essi devoluta dal padre e che sarebbe stata loro devoluta anche in futuro.
Con la sentenza in commento il Tribunale ritiene, nel merito, la domanda fondata, essendo ben emersa la responsabilità della struttura sanitaria: "l' imperizia, negligenza ed imprudenza dei sanitari succedutesi nella catena delle prestazioni diagnostico- terapeutiche è risultata efficiente nei riguardi dell'evento letale; .. una giusta diagnosi e condotta terapeutica avrebbe fornito una chance di sopravvivenza non inferiore al 70%.".
Accertamento successivo è stato, quindi, quello di esaminare la richiesta di risarcimento danni avanzata dagli eredi.
Il Giudice – premesso che la responsabilità contrattuale della azienda può configurarsi solo in capo agli eredi del de cuius (laddove per gli altri congiunti non eredi può configurarsi solo una responsabilità extracontrattuale) – osserva come la documentazione prodotta, ovvero i certificati di stato di famiglia attestanti lo stretto grado di parentela con il defunto, è sufficiente a provare la qualità di erede legittimo: è, difatti, da ritenersi pacifico l' orientamento giurisprudenziale secondo cui la qualità di erede legittimo può provarsi in forma documentale mediante gli atti dello stato civile, anche a prescindere dalla denuncia di successione, ben essendo atto valido ai fini di una accettazione tacita dell'eredità la proposizione di una domanda di risarcimento dei danni in qualità di eredi di un soggetto.
In relazione alla domanda avanzata dai nipoti minorenni della vittima per il tramite della rappresentanza legale dei loro genitori, il giudice ribadisce come l'azione di responsabilità civile – quale azione finalizzata a migliorare il patrimonio del minore, ottenendo il risarcimento di danni che si assumono subiti – può senz'altro essere proposta disgiuntamente da ciascun genitore, senza la necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare.
Riscontrata la legittimità attiva di tutti gli istanti, il Tribunale analizza quali sono i danni che possono essere oggetto di risarcimento, sia iure hereditatis che iure proprio.
Con specifico riguardo alla prima categoria di danni, negata la risarcibilità iure successionis del danno tanatologico (per l'impossibilità tecnica di configurare l'acquisizione di tale diritto risarcitorio, posto che finché il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto), il Tribunale specifica che il danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica del soggetto leso; analogamente, il danno catastrofale – ovvero la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia - è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorché essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato.
Tanto chiarito in diritto, il Tribunale evidenzia che dalla documentazione sanitaria in atti sia emerso come il peggioramento progressivo delle condizioni cliniche, sino ad arrivare al decesso, sia avvenuto nell'arco di 12 ore: tale lasso di tempo è ritenuto apprezzabile al fine di configurare un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica del soggetto, ovvero un danno biologico trasmissibile agli eredi mortis causa.
Tale danno biologico, secondo il giudicante, rientra nel danno da inabilità temporanea, che entra nella sfera patrimoniale della vittima e risulta quindi essere trasmissibile agli eredi (cfr. Cass. 22601/2013): la relativa quantificazione – da effettuarsi sulla base di criteri orientativi, recentemente elaborati dalla giurisprudenza milanese per la liquidazione del cosiddetto "danno terminale" – porta a riconoscere in favore degli eredi un importo risarcitorio di euro 12.000,00 a titolo di danno terminale.
In relazione al danno non patrimoniale iure proprio, la sentenza in commento rileva come, nella fattispecie sottoposta alla sua cognizione, nulla può essere riconosciuto a titolo di danno biologico ( non essendo stata provata né allegata dagli attori la sussistenza di un danno alla loro salute psico-fisica causalmente legato alla morte del loro congiunto) né a titolo di danno patrimoniale (essendo rimasta una mera petizione di principio l'assunto secondo cui il congiunto avrebbe devoluto una quota della sua pensione).
È risarcibile, invece, il danno da perdita del rapporto parentale, danno ontologicamente diverso da quello che consegue alla lesione della integrità psicofisica e che si concretizza nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno: il danno qualificabile come "edonistico" per la perdita del rapporto parentale deve essere valutato unitamente al risarcimento del danno morale iure proprio (in virtù del carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.) e la relativa liquidazione – da effettuarsi secondo i parametri delle Tabelle del Tribunale di Milano – va personalizzata in ragione dell'intensità della relazione esistente tra il danneggiato ed prossimo congiunto deceduto.
Nel caso di specie, essendo emersa la solida relazione affettiva tra gli istanti ed il loro congiunto defunto, il Tribunale – tenuto conto di tutti gli elementi incidenti sul giudizio di personalizzazione – ritiene equo riconoscere a titolo di danno non patrimoniale l'importo di euro 165.960,00 per ciascun figlio e l'importo di euro 12.000,00 per ciascun nipote.
Da ultimo, il Giudice si pronuncia anche in merito al risarcimento del lucro cessante, ovvero della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovutagli a titolo di risarcimento, la quale se tempestivamente corrisposta sarebbe potuta essere investita per ricavarne un lucro finanziario: tale danno ben può essere liquidato con la tecnica degli interessi, da computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno ovvero in base ad un indice di rivalutazione medio.
Ne deriva che, sulla somma complessiva dovuta a ciascun istante a titolo di danno terminale iure hereditatis e danno non patrimoniale da perdita parentale iure proprio, vanno calcolate la rivalutazione e gli interessi sulla somma rivalutata anno per anno, dal giorno della morte del congiunto sino alla data di pubblicazione della presente sentenza; sulla somma così ottenuta vanno riconosciuti gli interessi dalla pronuncia della sentenza al soddisfo.