Con l'ordinanza n. 25415 dello scorso 28 agosto, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha escluso la responsabilità professionale di un legale che, nell'ambito di un processo penale, non aveva fatto valere la prescrizione dei reati all'udienza preliminare.
La Cassazione ha, difatti, dato rilievo alla circostanza che il cliente aveva sempre espressamente condiviso tutte le scelte processuali operate dal proprio avvocato ed, insieme, avevano deciso di proporre gravame in quanto era esposto, quale pubblico dipendente, a conseguenze disciplinari in relazione alla gravità dei fatti contestati.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da un legale, volta ad ottenere il compenso per le prestazioni rese nei due gradi di un giudizio penale, all'esito del quale la Corte d'Appello di Palermo, aveva assolto l'imputato dall'accusa di corruzione con la formula "perché il fatto non sussiste", ed aveva dichiarato estinti per prescrizione gli ulteriori reati contestati.
Il cliente proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, contestando il credito vantato dal legale ed, in via riconvenzionale, esperiva azione di responsabilità professionale nei confronti dell'avvocato, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni.
A tal riguardo deduceva che, pur essendo la prescrizione dei reati già maturata nel 2006, il professionista non l'aveva eccepita in udienza preliminare, né lo aveva informato della possibilità di avvalersene, con ciò lasciandolo esposto ad un processo penale infamante; lamentava, ancora, che dopo la conclusione del giudizio l'avvocato non lo aveva informato della possibilità di ottenere gli indennizzi previsti dalla legge n. 117/1988 e dalla legge Pinto.
Il Tribunale di Agrigento rigettava l'opposizione; la decisione veniva confermata dalla Corte d'Appello di Palermo, che escludeva la negligenza dell'avvocato e rigettava la domanda riconvenzionale sul presupposto che si era determinato a proporre gravame perché convinto della propria innocenza e che, ad ogni modo, tutte le scelte processuali erano sempre state condivise dal professionista e dal proprio cliente.
Il cliente proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, deducendo erronea valutazione delle prove, perché la Corte territoriale avrebbe dovuto ricavare dai verbali di udienza del processo penale la prova dell'inadempimento del difensore, consistito nella mancata eccezione della prescrizione.
La Cassazione non condivide le censure sollevate dal cliente, ritenendole inammissibili in quanto non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata.
Il giudice di appello, infatti, aveva valorizzato la circostanza che la sentenza penale di primo grado aveva dichiarato estinti per prescrizione tutti i reati contestati al cliente e che quest'ultimo si era determinato a proporre gravame perché convinto della propria innocenza e perché esposto, in quanto pubblico dipendente, a conseguenze disciplinari in relazione alla gravità dei fatti contestati.
Inoltre, il co-difensore dell'imputato nel processo penale aveva confermato che le scelte processuali erano sempre state condivise con il loro cliente.
Alla luce di tanto, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.