Con la sentenza n. 402 dello scorso 12 febbraio, la II sezione del Tar Campania, sezione distaccata di Salerno ha confermato l'illegittimità di un'ordinanza con cui si intimava a un geologo la demolizione di un soppalco realizzato presso la sua abitazione privata ed indicativo, secondo l'amministrazione comunale, della volontà di realizzare un cambio di destinazione d'uso dell'appartamento da residenziale ad uso studio tecnico.
Si è difatti rilevato che "il semplice cambio di destinazione d'uso, effettuato senza opere evidenti, non implica necessariamente un mutamento urbanistico-edilizio del territorio comunale e, come tale, non abbisogna di concessione edilizia qualora non sconvolga l'assetto dell'area in cui l'intervento edilizio ricade".
Nel caso sottoposto all'attenzione del Tar, il Comune di Scafati emanava una ordinanza con cui ingiungeva la demolizione di un soppalco realizzato in una abitazione esistente al piano rialzato, irrogando al contempo la sanzione pecuniaria di € 500,00.
In particolare, veniva contestata al proprietario, con la realizzazione del soppalco, la realizzazione di un cambio d'uso da residenziale ad uso studio tecnico.
Ricorrendo al Tar, il proprietario impugnava il provvedimento amministrativo con cui si era ingiunta la demolizione del soppalco, deducendo l'irrilevanza dell'uso di fatto, per finalità di studio personale, riservato ad una porzione dell'appartamento.
Il Tar condivide la posizione del ricorrente.
Il Collegio ricorda che il semplice cambio di destinazione d'uso, effettuato senza opere evidenti, non implica necessariamente un mutamento urbanistico-edilizio del territorio comunale e, come tale, non abbisogna di concessione edilizia qualora non sconvolga l'assetto dell'area in cui l'intervento edilizio ricade.
Qualora il cambio di destinazione d'uso investa la destinazione di una abitazione privata a studio professionale, sono indici elettivamente rivelatori dell'allestimento di uno studio professionale elementi quali l'apposizione dell'insegna del titolare all'esterno dell'appartamento e/o dell'edificio, la distribuzione degli ambienti interni ai fini dell'accoglienza della clientela (sala di attesa, sala di ricevimento) e dell'organizzazione del lavoro (locali di segreteria e di archivio, studio personale del professionista, sala riunioni, ecc.), la predisposizione di servizi di rete telefonica e informatica, la presenza di arredi e di strumenti univocamente connotativi della specifica attività professionale esercitata.
Con specifico riferimento al caso di specie, il Tar evidenzia come – alla luce della documentazione fotografica allegata alla relazione tecnica di parte ricorrente, nonché in base al tenore generico ed ellittico dell'ordinanza di demolizione – non siano ravvisabili gli estremi del cambio di destinazione d'uso in senso proprio (da abitazione a studio professionale, ossia ad ufficio), essendo al più, configurabile l''uso di fatto' di una porzione dell'abitazione a guisa di studio personale da parte del geologo, nel legittimo e insindacabile esercizio delle relative facoltà proprietarie.
Il collegio evidenzia, infatti, come nessuno indice rivelatore dell'allestimento di uno studio professionale sia stato adeguatamente comprovato e circostanziato dall'amministrazione comunale a fondamento dell'ordinanza di demolizione; di contro, la relazione tecnica di parte ha ben evidenziato come le suppellettili sistemate in loco non fossero tutte esclusivamente riconducibili all'attività di geologo, includendo anche oggetti d'arte e collezioni di minerali, espressione dei suoi interessi ricreativi e culturali; nell'ambito dell'unità immobiliare, i vani adibiti a studio personale erano commisti con altri aventi vocazione univocamente abitativa (cucina, camera da letto e bagno); il ricorrente, inoltre, non era un professionista esercente, bensì un ex dipendente del Genio Civile di Salerno in pensione, che aveva allestito all'interno della propria abitazione una sorta di archivio-deposito dei documenti, delle pratiche, dei testi, delle attrezzature strumentali e dei materiali di arredo, in prevalenza obsoleti, accumulati nel corso della propria prolungata e ormai conclusa esperienza lavorativa.
Ne deriva che, in simili casi, deve escludersi che un siffatto cambio di destinazione d'uso (ammesso e non concesso che lo si possa definire propriamente tale) possa comportare, in ogni caso, la grave sanzione della demolizione, ordinata nella specie dal Comune.
Alla luce di tanto, il Tar accoglie il ricorso e condanna il Comune alla refusione delle spese di lite in favore del ricorrente.