Con l'ordinanza n. 14951 dello scorso 14 luglio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in tema di mantenimento dei figli maggiorenni, ha rigettato il ricorso di un nonno paterno che si lamentava di dover corrispondere un assegno di mantenimento al nipote malato, sebbene la mamma del bambino lavorasse e ricevesse aiuti economici dai suoi genitori.
La Corte, accertato che le sostanze della mamma erano insufficienti per far fronte alle cure riabilitative del minore, stante anche la mancanza di contribuzione da parte dell'ex marito, ha confermato la condanna del nonno paterno a versare 130 euro mensili a titolo di mantenimento, posto che "l'obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli -che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori- è subordinato e, quindi, sussidiario rispetto a quello, primario, dei genitori, non essendo, appunto, consentito rivolgersi agli ascendenti sol perché uno dei due genitori non dia il proprio contributo, ove l'altro genitore sia in grado di mantenere la prole.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio con l'emissione di un decreto del Tribunale di Perugia che, in accoglimento della domanda presentata da una mamma, condannava un nonno paterno a pagare l'assegno di 130,00 Euro mensili, quale contributo al mantenimento del nipote, da versarsi alla madre.
A sostegno della decisione, il Tribunale rimarcava le precarie condizioni economiche della donna che – in mancanza di qualsiasi contributo ricevuto dal suo padre del bambino a titolo di mantenimento del figlio – non riusciva, con le proprie sostanze (pari a circa 1.100,00 Euro mensili) e con i contributi economici ricevuti dai suoi genitori con cui conviveva, a far fronte alle terapie riabilitative e alle esigenze del minore, gravemente malato.
La Corte di Appello di Perugia, adita in sede di reclamo, confermava il decreto del Tribunale di Perugia.
Ricorrendo in Cassazione, il nonno eccepiva violazione e falsa applicazione degli articoli 316 bis c.c. in riferimento all'art. 360 comma 1 nr.3 e 5 c.p.c, dolendosi perché si era posto a suo carico il pagamento di un assegno quale contributo al mantenimento del nipote sebbene, nel corso del giudizio di merito, la nuora non avesse dimostrato né lo stato di bisogno né l'incapacità di provvedere da sola ai bisogni primari del figlio, considerato che lavorava stabilmente e conviveva con il figlio presso i suoi genitori.
In seconda istanza l'uomo denunciava dell'art.2697 c.c., lamentando come si fosse posto a suo carico il pagamento di un assegno quale contributo al mantenimento del nipote sebbene, nel corso del giudizio di merito, la nuora non avesse dimostrato di non poter incrementare il proprio reddito e sebbene risultasse che il padre lavorava come addetto accoglienza clienti presso una ditta di Investigazioni, sicché ben avrebbe potuto corrispondere quanto dovuto a titolo di mantenimento.
La Cassazione non condivide la posizione del ricorrente.
In punto di diritto gli Ermellini ricordano che l'obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 c.c. spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l'altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui.
L'obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori ; tale obbligo, tuttavia, è subordinato e, quindi, sussidiario rispetto a quello, primario, dei genitori, non essendo, appunto, consentito rivolgersi agli ascendenti sol perché uno dei due genitori non dia il proprio contributo, ove l'altro genitore sia in grado di mantenere la prole.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza di appello, conforme alla decisione di primo grado, si sia attenuta alla giurisprudenza richiamata posto che sono state condotte specifici indagini – riservate al giudice del merito e incensurabili in sede di legittimità – relative all'assoluta mancanza di contribuzione da parte del padre e all'insufficienza dei redditi della madre, pur se aiutata dai nonni materni, a far fronte alle esigenze del minore, malato e necessitante di terapie riabilitative.
In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.