Con l'ordinanza n. 10158/2018, la III sezione civile della Cassazione, ha confermato la mancanza di responsabilità in capo a due radiologi, incolpati per non aver prescritto indagini invasive volte ad accertare un carcinoma mammario, sul presupposto che "non rientra nel compito dei radiologi, chiamati ad eseguire la mammografia e a darne corretta lettura, suggerire lo svolgimento di altri esami o richiedere un consulto di altri specialisti."
Nel caso sottoposto all'esame della Cassazione, una donna adiva in giudizio due medici radiologi, chiedendo la loro condanna, per colpa professionale/responsabilità extracontrattuale, in relazione alla tardiva diagnosi di un carcinoma al seno maligno, a sua volta conseguita alla mancata esecuzione di approfondimenti assolutamente necessari ed ineludibili ai fini di una diagnosi senologica corretta ed esaustiva.
In particolare la donna deduceva che – a causa della formazione, sul quadrante esterno della mammella destra, di una piccola formazione opaca di natura benigna – aveva l'abitudine di sottoporsi a periodici controlli mammografici, con cadenza sostanzialmente semestrale.
Durante uno di questi controlli un primo medico non aveva ritenuto opportuna l'esecuzione di altri esami di approfondimento e, successivamente, un secondo radiologo – sul presupposto che risultava immodificato il raggruppamento di piccole calcificazioni al quadrante esterno – si limitava a consigliarle l'esecuzione semestrale dei soliti controlli di routine.
Al controllo immediatamente successivo, l'indagine mammografica evidenziava la presenza di una lesione solida di 3-4 cm con piccoli noduli satelliti, sicché veniva operata d'urgenza per un carcinoma maligno con metastasi linfonodali.
Sia il Tribunale di Crema che la Corte di Appello di Brescia rigettavano la domanda, sul presupposto che nessuna responsabilità poteva essere addossata ai sanitari, in quanto questi erano medici radiologi (e, dunque, non clinici e neppure chirurghi) e non potevano sostituirsi a questi ultimi, non rientrando nei loro compiti quello di visitare la paziente, anche in considerazione delle difficoltà e delle insidie che comporta la delicatissima semiologia mammaria.
In particolare, in relazione alla posizione del primo medico, non poteva dirsi provato il nesso causale tra mancata o tardiva diagnosi della neoplasia (poi riscontrata in occasione della successiva mammografia) e la sua condotta, in quanto all'epoca di quell'accertamento poteva rilevarsi soltanto la presenza di microcalcificazioni di natura benigna; inoltre, quell'esame diagnostico, quand'anche seguito da una ecografia mammaria, giammai avrebbe potuto segnalare, sia pure in fase iniziale, il nodulo maligno successivamente riscontrato.
In relazione alla posizione del secondo medico – accertato che, all'epoca della mammografia da lui effettuata, già si intravedeva una piccola nodularità maligna di rapido accrescimento – si affermava che, quand'anche fosse addebitabile ritardo nella diagnosi, nondimeno l'esito infausto sarebbe stato, ugualmente, inevitabile.
Gli eredi della donna, deceduta nelle more del giudizio, ricorrevano in Cassazione, evidenziando come i medici intervenuti - allertati dalle rilevate calcificazioni – avevano il dovere di operare un tempestivo accertamento diagnostico del tumore mediante mammografia, esame citologico e biopsia chirurgica, sicché, in applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia civile, doveva ritenersi provato il nesso causale tra la condotta omissiva dei medici intervenuti e l'evento letale occorso.
La Cassazione non condivide la doglianza degli eredi.
Secondo la Corte, infatti, le censure prospettate, travisando gli accertamenti compiuti dai giudici di merito, mirano a ottenere una inammissibile rinnovazione del riesame nel merito della vicenda.
Gli Ermellini precisano, invero, che nella decisione impugnata non viene affatto affermata l'inutilità di una diagnosi precoce della neoplasia alla mammella e men che meno viene affermato che, in tale prospettiva, non assumano rilievo altri accertamenti, oltre alla mammografia; piuttosto, i giudici di merito, con un corretto ragionamento logico-formale, hanno accertato l'insussistenza di alcun profilo di colpa in capo ai sanitari.
Sotto detto profilo, i medici si sono attenuti alle linee guida internazionali che, in presenza di micro-calcificazioni benigne come quelle apparse nelle mammografie contestate, non prevedono indagini invasive, quali la biopsia, ma unicamente un follow up mammografico da effettuarsi in tempi brevi: i medici convenuti, infatti, in tempi diversi, hanno entrambi consigliato alla paziente controlli ravvicinati.
Né erano tenuti, secondo la Cassazione, a consigliare una ecografia perché entrambi i sanitari intervenuti erano radiologi, chiamati ad eseguire la mammografia e a darne corretta lettura, e non rientrava nei loro compiti suggerire lo svolgimento di altri esami o richiedere un consulto di altri specialisti, di talchè la mancata esecuzione dell'approfondimento diagnostico, non poteva essere imputato loro.
Infine la Corte evidenzia che, in assenza di uno specifico comprovato addebito colposo elevabile nei confronti dei medici radiologi, perde rilievo la disamina della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dagli stessi tenuti e l'evento letale poi purtroppo verificatosi.
Il ricorso viene quindi dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.