Sono trascorse appena poche ore dalla presentazione, subito dopo la riunione del Consiglio dei ministri di ieri sera, della legge delega per la riforma del processo civile, e si susseguono dichiarazioni e prese di posizioni che, mentre salutano con un certo favore alcune novità, prima tra tutte la possibilità data al debitore nel corso della procedura di esecuzione, di acquistare l'immobile oggetto di espropriazione, non risparmiano critiche alla riforma. L'appunto più ricorrente è che, con l'abbandono dell'atto di citazione a beneficio del ricorso, ma soprattutto con la previsione di tempi superiori a quelli attuali per l'instaurazione della causa e la celebrazione della prima udienza, quella di compressione, la riforma avrebbe già fallito proprio con riferimento al punto che, per espressa ammissione dei suoi ideatori, ne avrebbe giustificato il varo, cioè la riduzione della durata del processo.
Uno tra i primi ad intervenire è stato il presidente del Coordinamento delle associazioni forensi Luigi Maria Vitali con un contributo che di seguito riproduciamo, invitando i nostri lettori ad intervenire a loro volta.
Molti mi hanno contattato chiedendomi cosa ne penso della riforma del processo civile. Premetto che, prima di esprimere una opinione in merito, dovranno approfondirsi gli studi su tutti i punti della riforma e che, pertanto, quello odierno è un commento a caldo. Vi dico, allora, che non sono riuscito a leggere l'intero impianto normativo. Non sono riuscito perchè mi sono dovuto fermare. La battuta di arresto alla lettura mi è stata data dall'eliminazione dell'atto di citazione quale atto introduttivo del giudizio.
Com'è noto, i termini a comparire relativamente alla vocatio in ius, erano fissati, nel caso della citazione, in 90 giorni. OAggi è previsto un tempo complessivo di 200 giorni entro il quale il giudice dovrà fissare l'udienza. Premesso che non ho visto alcuna previsione di perentorietà dei termini per il giudice, già un processo inizierà con 110 giorni di ritardo. E l'esperienza ci insegna che non sarà così: come nel processo del lavoro, assisteremo a fissazioni di udienza lontane anni. Un bel passo avanti, non c'è che dire! Mi ha fatto sorridere il concetto di perimetro della causa. E, d'altronde, le battute sui social fioccano impietose. In realtà mi sembra che non ci sia niente da ridere. Oggi parlavo con un Collega e amico. Mi diceva che tutto ciò che sta accadendo, in civile, in penale, è normale, è giustificabile: se non si possono risolvere i problemi della giustizia mettendo mano al portafoglio, devi toccare il rito. Ho riflettuto su quelle parole. Il punto è, però, che oggi questo legislatore non tocca il rito. Non si limita a questo! Intacca (non tocca) Diritto e Diritti. Calpesta principi radicati nei secoli, in nome di un giustizialismo più vecchio che nuovo ed in nome della preminenza dei mercati. Mi sembra che stiamo tornando nel Medioevo. Quando la regola era "per pugnam sine iustitia". Ho paura che, a furia di riforme che ci privano della Giustizia, finiremo a dirimere le controversie "per pugnam". E mi sento troppo vecchio per iscrivermi ad un corso di arti marziali.